27 marzo 2007

Piove



Sono le quattro del pomeriggio e la pioggia è ricominciata.

Le catene rilucono, una donna entra nella stanza e viene verso di noi. Orgogliosa dei segni delle frustate che ha sulla pelle, si gira per farceli vedere.

Ha i capelli corti e ricci, giallo-rossicci, chiude gli occhi e comincia a respirare profondamente, come se stesse meditando. È nervosa. Michael, rivolto verso di lei, si capisce che aspetta. La guarda pacato. Con modo tranquillo. “Rilassati”, la rassicura, la Sua voce semplicemente arriva penetrando ogni strato di pelle. La donna sussulta, “Mich…”.

Michael la ignora.

Come ignora me, stretta intorno al collo da una cinghia nera, una specie di collare per cani che mi tiene legata a un anello nella parete.

Non dico niente, ma non riesco a smettere di guardare quella donna che non conosco. È davvero bella.

Avvicinandosi, Michael le fa scivolare una mano lungo la coscia e non c’è bisogno che lei dica qualcosa, si è già arresa. “Sono lieto che tu sia potuta venire D., mi sei mancata”. Lo dice e la bacia, le risucchia la bocca scendendo a stringerle i fianchi. Un bacio morbido, poi si allontana. Lei, me ne accorgo, al distacco rabbrividisce e in cuor mio, in quel momento, la mia volontà è incapace di capire la ragione che mi sottomette alla Sua voce.

“Sdraiati” le dice, e non c’è nulla che si possa aggiungere. Non è un invito.

Lentamente il cielo si pronuncia scuro. Goccioline di umidità appannano i vetri.

L’influenza di Michael si espande da D. a me e da me a lei, come una volontà non eludibile.

D. si sdraia e io, per tutto il tempo, mi sento in un labirinto senza uscita.

Lei è supina. I seni pendono appena, uno da un lato e uno dall’altro, con qualche striatura che gonfia i capezzoli.

Michael si piega su di lei e capisco, Lui le piace. D. è disorientata, nervosa. Lui è accanto a lei, si siede e le accarezza la fronte. “Cosa c’è per te?” le dice, la Sua voce è come una promessa fatta in altro luogo. Lei intuisce, l’espressione è guardinga. Il respiro teso. Trattenuto.

Michael le cerca il fiato, “lo vuoi vero?”, chiede. Vuole sentirselo dire. Non che ce ne sia il bisogno, lei è lì. E anche se non sarebbe voluta venire, un impulso incoercibile l’ha costretta verso la Sua ossessione. “Si” dice, e non è che un soffio. D. è annichilita, la soggezione le serra le mani, stringe le lenzuola e poi si arrende, ripetutamente, le nocche restano bianche.

D. cede al dominio di Lui, se lo impone, non può evitarlo.

La pioggia insiste, leggera, sottile, un tessuto rado e scuro riveste ogni cosa. Con cura. Il cielo è coperto ora. Nero.

Una piccola valigetta viene aperta. La solita, di cuoio e cinghie. La stessa aria ordinata di sempre, perfetta, e li vedo. Aghi di acciaio, una sfilza.

Quando l’unica cosa che si aggiunge all’assenza di voci, ai respiri profondi e alla pioggia, è Michael. La Sua mano. Come un bisturi.

Prepara e punge, pizzica, poco sopra il seno. Penetra. D. apre le gambe e Lui accarezza. Immobile, D. è lanciata verso se stessa.

La strada ora è diversa, fangosa.

Infradiciata e carica come gli occhi di D. che sorride, come le mie gambe dove l’unica ferita che c’è, giace profonda.

La strada è scivolosa, inerme, sotto la pioggia.

Michael fa arrivare il Suo tocco anche a distanza. Chiudo gli occhi e annuisco, l’ago affonda, attraversa il mio strato di pelle. D. è sbigottita e la sensazione di controllo che Lui ha su di lei, mi zittisce e mi lega.

Sento la Sua carezza liscia per D., la Sua mano che ritorna e ripete, ancora, il gesto sempre lo stesso un po’ più giù o un po’ su, sul seno, disegnando attorno al capezzolo.

D. è nuda, muta, troppo in balìa e troppo impotente per sentirsi davvero atterrita. Ma ogni istante in cui tutto tace, sento che la sua angoscia mi elettrizza.

Sento il calore che si diffonde in lei e la percezione millimetrica di ogni movimento, la pressione di ogni bacio acuminato mi sconcerta. Inspiro.

D. inspira.

Profondamente.

Lei è bellissima.

Ogni occhiata che lancia a Lui è un grido. Il collo le si rovescia indietro e scivola, come una goccia lenta si contorce e stira.

Attorno a me tutto è gocciolante: la stanza e D., me e ogni ago che penetra, la pioggia che buttera la finestra.

Non ci sono ordini, non ci sono richieste, solo il silenzio che segue l’obbedienza. La risposta dei corpi che non sanno resistere. Il Suo piacere che sale e la mia eccitazione sinistra.

C’è tensione, D. freme. Stringe i pugni.

Tuona.

La pioggia si fa più forte, D. si lamenta. Rimpiange. Lo odia. Lo ama. Poi passa. Si trascina come pioggia, magnetica come le Sue dita. Sento il freddo che D. sente e mi bagno fino a farlo vedere.

D. implora con tutta se stessa, il pericolo scorre il sangue e “dio! quanto amo quest’uomo”, mi dico. Amo il Suo tormento. La Sua dolcezza. Il terrore di cui non può fare a meno.

Così autorevole è il Suo sguardo, specchio di solidità e premura, affidabilità e determinazione. La Sua mano segna, il desiderio atterrisce.

Il dolore mi piace, anche il dolore altrui. Il dolore di D., paralizzata come un animale dalla sorpresa.

D., ne sono sicura, si crede isolata dal mondo. Scricchiolante come una foglia lungo la strada, appuntita come un ago di pino.



(A Michael e D.)