Lottare
Ho nausea. Voglia di ridere, piangere. Urlare. A tratti ho vere e proprie amnesie, mi chiedo dove sono finita, cosa mi rimane. Sto seduta per terra, ai piedi di C., le gambe ripiegate sotto di me, vorrei fuggire ma non riesco ad andarmene.
Non voglio.
E mi sento male.
Quasi le 2 del mattino e non so per quanto tempo sono rimasta seduta e in silenzio, a guardarlo, fingendo invece di osservare la coppia che colava piacere sulla pista da ballo.
Emotivamente, mi tengo a debita distanza. Ho il terrore di svelare a tutti il mio turbamento. Odio il biasimo, la melliflua compassione amichevole. Ogni volta, se l’avverto, sento la rabbia montarmi dentro.
C. non credo sospetti, fino a che punto ogni situazione mi brutalizzi da non riconoscermi. Guardo la donna che è con lui adesso, una donna attraente, altera, una donna con cui non posso parlare, non voglio. Non mi riguarda.
Non devo intromettermi.
Una donna dalla cui bocca continuo a vedere C. e il suo sesso che emerge e nuovamente scompare, la lingua che inarcandosi compie volute istintive e a spirale. Una donna che succhia guidata dai sensi. Il naso affondato tra i peli del pube. E lui, C., con una mano sopra la testa l’accarezza come fosse una gatta. Lei lappa, sesso come fosse latte.
“Le cose si meritano”, mi andava spiegando solamente qualche ora prima, “e non è così facile, lo sappiamo entrambi”. Non scherzava. Ma ho fatto finta di niente e ho sorvolato il senso della frase con indifferenza. “Non voglio godere, non me ne importa”, gli avevo detto, in modo tutt’altro che reverenziale, “ma ho bisogno del dolore”, avevo confermato, “dolore saziante, dolore purificante”. Consumarmi. Dentro. E non fuori. Per me. E per Te... Michael! Questo volevo. Ma C. non mi è stato nemmeno a sentire, detesta la mia predeterminazione. Si mostra riluttante ogni volta che si tratta di un mio desiderio.
E mi fa incazzare.
Lui vorrebbe scardinarmi, ma se pensa di riuscire a sopraffarmi si sbaglia di grosso. Io non sono la sua schiava. Se vuole, fissiamo insieme le regole del “gioco”. Perché per me non può essere altro.
Abborderei il primo che passa e gli regalerei tutto il completo che indosso, tutto il pacchetto, bardata come sono di lustrini accecanti e di laccetti che invitano a legare più stretto. La guepière ancora agganciata alle calze. Un velo di nero che mi rende più oscena, visto il binario aperto di maglie, laceratosi mentre strusciavo per terra, dalla coscia fino al ginocchio, umiliando me stessa, ma in realtà esagerando solo per prevaricarlo. Sbarrandogli il controllo, quello che su di me sente di avere.
Fossi pure per strada, lo succhierei al primo che incontro, purché stasera mi prostituisse i pensieri. Mi affievolisse il dolore che va montandomi dentro, d’angoscia, consapevolmente nella gabbia toracica, man mano che i giorni e le ore passano lontano da Te.
Da Te, sì, Michael…
Se voglio faccio la puttana sul serio.
Ma non posso farlo.
Capisco che C. si sentirebbe padrone di un “ruolo”, e nemmeno questo voglio concedergli. “Piccola, ci sono io, non preoccuparti”, mi sembra di sentirlo, “so io come gestirti, stai tranquilla”. Mi irrita il solo pensarci, ma cerco di non darlo a vedere. Penso di ucciderlo ogni volta che quel tono da calma piatta mi raggiunge il cervello, deliberatamente privo di emozione, un tono cui si deve ubbidire.
Quindi niente da fare, come a far capire chi comanda, mi chiudo in un mutismo sordo. Non gli do nemmeno la soddisfazione di lottare.
Ma quale subdola dimostrazione di forza è questa? Perché allora mi lascio convincere e rimango?
Lui, C., la Guida che Tu, Michael, mi hai chiesto di seguire…
Perché C. riesce a cogliermi in fallo, a scovarmi dietro i sorrisi serafici, laddove mi nascondo e tramo. Perché non pretende, né prende quello che viene, non mi accontenta ma aspetta, finché ogni volta crollo e mi accoglie senza chiedere nulla. Perché il suo atteggiamento di marmo ogni volta mi strema.
C. sa conquistare la mia stima. La mia fiducia.
E Tu lo sapevi questo, vero?