20 luglio 2005

LA VOGLIA



E’ una sera di maggio, nel parco, a Forte Antenne, sotto un cielo insanguinato al tramonto di nuvole scarne, allungate nell’estasi dei primi calori d’estate. Sulla strada scura del vespro non un avventore e neppure un gatto, quando al di là d’una curva d’asfalto, accecante coi suoi fanali d’occhi, lenta s’affaccia un’auto rossa, tra le fronde sporgenti degli alberi, sul viale che passa. In sottofondo, il fosco stridere d’una civetta in dialogo, abbarbicata al ramo e alla vena inquieta d’un battito cardiaco nell’ultima sua ansa di tristezza, e la corsa celere dello scoiattolo, allontanatosi s’una pianura fuori mano alle porte d’una notte solitaria. E’ l’ansia raminga che accompagna quando l’amore abbandona.

Pochi lampioni di sentinella, pochi metri di fari ancora accesi sino alla rientranza della strada laterale. Le labbra alla bottiglia e l’invadente calore infame fra le gambe.

“Voglia perché m’assilli?”

“Voglia perché non mi dai tregua?”

Lei scende sinuosa sull’acciottolato, scaltra con i suoi tacchi da dieci centimetri e mezzo; non hanno cedimenti le sue caviglie mentre tendono nervose verso l’alto. Lei volta su se stessa con palesata grazia, muove sostenuta allungando muscoli e pelle come una ballerina contratta nella posa, ed ogni movimento l’abbraccia intimamente nelle ossa fino al punto da farle dire: “la voglia mi prende le gambe”.

“La voglia mi scioglie sui passi”.

“La voglia mi guida già inerme”.

“La voglia mi chiama danzatrice di veli”.

La voglia stasera è la sua Signora e Padrona, la voglia le chiede di mettersi in mostra come una passeggiatrice di strada. E già s’alza il suo vestito stretto. Lei poggiata sul cofano al buio, con le gambe aperte, i tacchi come piantati nel terreno. E le mani alla vita ancorate d’attesa, gli occhi attenti da gatta alla strada che nel gomito la nasconde dalla via principale, nell’impaziente follia che sotto s’accumula come nuvole al cielo preparando violenta l’improvvisa pioggia.

Arriva poi un’auto, un’altra e un’altra ancora, lentamente com’è nell’ansia il tempo. La prima le illumina le gambe e sembra bloccarsi. Poi quasi immobile, coi fari tesi, avanza sulla preda con la luce furiosa e le scopre sul volto la sfida. Sorriso e sguardo, di sfacciata presunzione, di lei tutta ancora decisa e pronta per squassare quella voglia di smania da cui mai si sente lasciare. Che ora la vuole. La vuole a camminare.

Felina, sfrontata ma sola, tra le ombre che le annientano il mondo e le sue mani furtive e frementi che le accarezzano morbide i fianchi, morbose tra i passi, mentre le muove sul vestito dall’alto, sul seno, allacciato fin sotto sul collo. Un’auto si ferma. Un uomo scende. Forse vuole capire, ma lei indietreggia alla sua stessa voglia. Non vuole conoscerlo, né adesso né poi, né lui né gli altri, così s’allontana nel fiume che intanto le sfocia. Alla portiera è già in fuga, ma veloce in un’alzata di spalle lo vede, l’uomo è pentito e ripiega, senza abbandonare la presa degli occhi, a passo di gambero. Forse ha capito, è d’accordo. Lei decide di sì e riparte pulsante, e come su un palco sospirato a teatro inizia a far recitare i bottoni con pose d’artista.

Intrigo di mani che s’avvinghia in sensuali movenze impregnate di voglia, e ancora morse lascive, e invitanti mugolii sommessi che reclamano la sua danza del corpo, carnale, viziosa. E lei, lei, che accoglie gli sguardi stranieri sulla via dei solchi, accoglie le dita impazzite fin dentro nei pozzi, sbottona piano la veste e poi svelta la apre. La spalanca, con le gambe tese che colano voglia e camminano del loro strusciare nell’aria il respiro di lui, dell’altro, del loro muoversi all’ombra e nel sangue che sale e li monta.

“La voglia mi spoglia”.

“La voglia mi bagna”.

“La voglia m’impone di girarmi di spalle a cercala dove s’annida più stretta”.

E lei sale in ginocchio sul cofano caldo, si piega all’abbaglio del faro e con la luce del raggio poi affonda.

“La voglia mi squaglia”.

“La voglia mi scoppia”.

Lei s’arresta e si svuota per sentire che pulsa. E’ l’attimo in cui si ferma nel palpito, per trattenerlo sul margine, per dilatarlo. Lei si gira, si struscia e giù scivola lungo il nero paraurti, s’avvicina alla portiera aperta che attende e lì prende il suo regalo per loro. Sul suo seno, che scopre, sulla pelle eccitata, sulle sue areole rosse, sui suoi chicchi rubino, si stringe, si strizza, s’appende e s’avvita, un rosario di perle violacee che con furia la morde di piccoli morsetti.

“La voglia mi umilia, mi comanda”.

“La voglia m’impiega, m’ostina al dolore”.

Lei geme alla bocca aperta di lui, alla mano dell’altro che spreme e allo sguardo perso di tutti che alla mente l’avvolge. E ricomincia, risale sull’auto e s’apre, s’allarga stavolta di fronte e poi sfonda. La catenella oscilla tra i capezzoli vigili mentre lei lubrica tra le labbra la sgrana, perla a perla, e tra le labbra la tira fino a strapparsi in lamenti, finché s’inarca stravolta d’una forza che sfascia, e poi di colpo al salire dei gemiti di lui, del respiro più ansimante degli altri, scoppia, insieme a loro scoppia. Di botto esplode. Gode.

Non ci sono parole a seguire, né più sguardi per loro, lei nuda riparte in auto, le mani strette al volante, la collana preziosa al seno, e la sua voglia ancora a palpitare. La sua voglia assillante che l’ha corrotta puttana. Non ci sono parole a coprire il tormento del suo Amore lontano, a coprire un grido di strappo lacerante al petto.


(A Michael nelle sue assenze, agli sconosciuti voyeurs e a me stessa)