21 settembre 2005

Potesse il Canto Mio Schiantarsi in Brace

L'immagine è di John Keedwell


Sento che s’avvampa l’aria quando il suo respiro è nella stanza, lo spazio intorno sento si fa più stretto e caldo; sento che s’incendia il sangue al suo cammino mentre mi viene incontro.

Riarsa nei suoi occhi scuri sento dell’autunno crepitare il legno e della foglia lo sgretolarsi lento, prorompente, senza scampo, tra le conifere e sugli arbusti d’ogni bosco.

Quando il mio sguardo fonde dentro il suo, tra le indomabili colate, sento il fuoco delle viscere che infuria, mentre sotto inarrestabili sorgenti la fiamma si alimenta e si scatena; sento il fuoco dei crateri come un pianto, inesauribile, come una marea incalcolata che sul fondo mi attraversa. Sento il fuoco soffocante, neanche fosse il giorno del giudizio al libero passaggio del demonio; sento il fuoco che dilaga tra le valli, quando avviluppa la mia terra, e plasmato, con vendetta di nascosto, porta con sé l’incontenibile irruenza della strage: è il fuoco insonne della notte quando infiammato sottopelle, mai placato, fluisce in forma di veleno, e spacca inerme anche la roccia a precipizio.

E’ come un urlo spaventoso che confonde, mi travolge, è ineluttabilmente risonante ogni volta che m’adombra col suo passo, è come se mi si appiccasse l’anima al suo tocco, che scioglie e va in deliquio, quando lui è implacabile e mi chiama, mi reclama, e sfiancante mi possiede.

E’ desiderio instancabile d’ardore e amore macerante ed impossibile, un rogo nelle vene, che mi ribolle in magma questa voglia, lentamente mentre incombe, mentre consuma a me e a lui ogni parola; è come il silenzio della luce il giorno dell’apocalisse.

E’ come l’urlo della disperazione mai acquietata, quando sprofonda il cuore; ’urlo della mente che rimbomba d’echi interminabili e agghiaccianti, l’urlo che, senza darsi pace si ripete, senza speranza, ad ossessionare muto nell’impazienza d’uno sfogo.

Così, lui, spietato all’ansia che m’annida, sotto la furia del mio sguardo che l’avvolge, lui incatenato alla mia lingua che dardeggia, lui e la sua bocca come sete sulla mia, lui e le sue mani come slavine incandescenti, lui a circondarmi, e la sua pelle arroventata che m’assedia e inesorabilmente poi m’annienta, è la febbre delirante d’una follia che non trattengo e che nell’impeto m’ha avvince.

Ma non adesso, solo fiamme ora a erigermi di smania.

L’urlo del vulcano quando erutta.

Potesse il canto mio schiantarsi in brace, incendierebbe per scintilla questa benzina detta bramosia.

Perché lo sento, ora che s’addensano i pensieri, ora che m’invadono e m’infoiano al delirio; ora è come se il mio corpo ardesse di pretesa, ora, nell’attesa dell’incontro che m’aspetta.




(A Diego,
…stai ridendo vero?)