21 ottobre 2007

Difficoltà


di Brian Mackey

Gli inchini a volte sembrano eterni, durano a lungo, si ripetono. Il cameriere oggi si è piegato letteralmente in due per ringraziarci della mancia ricevuta, difficilmente infatti qui si accettano mance. Ci si inchina e basta, vorrei essermi abituata, vorrei inchinarmi anch’io e basta ma non mi riesce.

Sono al ventitreesimo piano e non ho ancora imparato ad affacciarmi alla finestra. Questa altezza mi fa sentire ancora più piccola e lontana e so bene che sarebbe meglio di no, sono una “casa” come le altre, unica e accogliente, e guardare la città di sotto, tutti questi occhi che sorridono non dovrebbe comunicarmi una perdita ma un senso di sicurezza, di ammirazione. Di ricchezza.

Questa lunga pausa mi è difficile da afferrare, desta la mia incapacità a non provare fatica.

È una prova dura. Non devo arrendermi ma devo entrare nel distacco in modo morbido e curioso, senza sentirmi aggredita dalla possibilità di fuga.

Sto cercando di perfezionarmi, la discrezione è la regola massima e mai come prima mi mette in difficoltà. Non sono capace di fermarmi, non riesco a rinunciare all’idea di uno spazio. Uno spazio che sia mio.

È una mia responsabilità mettere a disposizione quello che serve, affiancare il percorso delle altre senza conoscerne l’intensità e i dettagli, ma succede troppo di frequente che l’essere così vicina a Lui crei delle gelosie assurde, delle cattiverie impossibili da gestire.

Ci sono sorelle che adoro ma quando una rivalità si affaccia diventa difficile convivere. Dacché siamo inseparabili all’improvviso tutto appare diverso, ci odiamo. Ognuna di noi teme l’altra, i numerosi tentativi di trovare la giusta occasione per indebolire la sicurezza di una compagna sono la sfortuna che ci distrugge nel tempo. Me ne rendo conto, ed è importante per me farlo notare, soprattutto a Rina, anche se considero inevitabili questi cedimenti.

È un meccanismo complicato, non fosse che il Padrone è sempre così perspicace, causeremmo ammanchi riprovevoli a pregiudicare l’armonia.

Non me lo potrei perdonare.

È comprensibile ma siamo gelose della stima che riceviamo anche se lo neghiamo, non esiste niente che sprigioni per noi più senso delle attenzioni dei Maestri e delle occasioni escogitate per rimanere da soli. È comprensibile ma non è abbastanza, non è giustificabile.

Il Padrone ci protegge da noi stesse, ogni volta che viene o chiama a sé una di noi ci propiziamo per i Suoi favori ma non possiamo farne a meno, la nostra volontà non guarisce dal possesso. Non riusciamo a privarci di quanto dovremmo, la nostra mente beneficia sempre di ciò che il nostro corpo sente: ci promettiamo di mantenere altrettanto per il futuro, quindi necessità e impedimento spesso coincidono.

Non tutte comprendono, né io stessa sono sempre in grado di capirlo, ma più di ogni altra cosa questa animosità è un dono, è un privilegio rispetto al prezzo del miglioramento che sosteniamo attraverso il confronto. È il segnale di un delicato sviluppo per la coscienza: il desiderio per il Padrone che sia sempre la grazia ad accompagnarci in ogni situazione.

La nostra difficoltà è quindi il nostro motore e il nostro tavolo da stiramento: tutte insieme, noi siamo gioia e sofferenza.

E resto davvero colpita quando la saggezza crea inconciliabili strappi con sicurezze precedenti che credevo consolidate. La superiorità d’animo aiuta a liberare la volontà. L’umiltà permette di non negare l’imperfezione ma di andare avanti, con il lavoro e con la formazione, anche attraverso la perfidia se occorre e alla sua sottile oscurità.






(A M., maggio 2007)