15 febbraio 2007

SUA


di Martin Pelzer


I miei occhi guardano con tristezza e desiderio, con amore e sofferenza. Troppi silenzi e troppi pensieri ancora non espressi, in uno spazio troppo piccolo tra noi.

Guardarlo mi fa sentire finalmente meno vuota, come se la distanza non ci fosse mai stata.

Lo raggiungo quando il cielo è ormai oscuro, lo stesso cielo finalmente, la stessa città dopo mesi.

La notte mi inghiotte lungo la strada e l’inconscio tradisce la mia tensione, il mio desiderio, la mia frustrazione.

Entro nell’edificio antico e il pavimento lucido lancia un’eco di agonia ad ogni passo, sento la pelle tesa sopra le ossa, il Suo studio si trasforma nel nostro privato santuario sessuale.

Sento un brivido, ben distinto, udendo il suono della Sua voce. Mi sembra così intensa che per un attimo resto senza parole. Sbalordita. Mi scorre dentro e mi riempie di luce.

I Suoi occhi mi inchiodano. Mi esplorano il viso, mi indagano l’anima. Mi interrogano, facendo domande che percepisco ma non riesco ad articolare. Mi sento all’improvviso nuda come un verme. I Suoi occhi mi scavano dentro.

Il Suo scrutare nel silenzio sembra non finire, alla fine non riesco più a sostenerlo. Sono sulle spine, mi sento strappare via la maschera che ho indossato fino a quel momento, Lui riesce a vedermi per quella che sono. Nemmeno mi chiede, “credi ancora?”.

Sono assalita dai ricordi, dai pensieri, dai dubbi, mi vedo inginocchiare come una penitente davanti all’attesa cattedrale. Il battito mi accelera inspiegabilmente.

Non pronuncio parola, ma rispondo alla mia stessa domanda, “sei la mia religione, e l’essenza sta nelle cose che non posso vedere, sta nella fede”.

Lo guardo muoversi nella stanza con un’economia di gesti e con una grazia, tanto che il cuore prende a battere così forte da farmi male.

Provo curiosità e paura, meraviglia e terrore, una lotta dentro di me, finché non sento il calore della Sua mano sulla mia e tutto diventa nero e vellutato come i Suoi capelli e i Suoi occhi. Nella mia oscurità c’è solo la Sua voce. Luminosa. La Sua voce armoniosa che si alza e si abbassa in un ritmo calmante, e al posto della tensione mi pervade un calore simile al miele, denso e dolce, che si coagula nell’umidità in mezzo alle mie cosce.

“Mia”, dice dolce, e sento un calore intenso contro la pelle, mentre il Suo movimento mi circonda.

Non sono altro che guardare Lui, esistere dentro di Lui, nulla di meno, nulla di più.

Mi tiene stretta e mi protegge, lasciandomi nuda ed esposta, vulnerabile più di quanto sia mai stata.

Le Sue mani mi fanno sciogliere e muovere, mi afferrano e mi fanno capire quanto bisogno ho di Lui.

Sa cosa voglio. Sa che è l’unico a potermelo dare. Vivo in quel momento solo del modo in cui mi stringe e mi guarda dentro, tanto a fondo quanto io so di essere dentro di Lui.

Me ne sto lì tra le Sue braccia, così minuta, così fragile in apparenza, il mio corpo da bambola somiglia a una creatura delle favole, sento che potrebbe dissolversi all’istante se Lui non mi trattasse come invece sa. È facile per me dimenticare la mia forza e la mia ostinazione. Lui spinge sul fondo, mi penetra, arriva al mio centro, sa con precisione dove curvare e piegarmi per arrivare dove vuole. Non mi sento più vuota. Non è fottere e basta, non è scivolare e urlare e mormorare, puntare le unghie e graffiare, contorcersi e spingere e esplorare. Nessun orgasmo sarà mai abbastanza.

Non importa quante altre mani mi abbiano sorpreso, quante altre dita siano state oltraggiose, niente può riempirmi la coscienza allo stesso modo. La mia anima è a senso unico. È con Lui che il mio corpo si scuote, mentre Lui mi spinge con violenza e le mie lacrime e il dolore gonfiano riversandosi fuori, quando Lui afferra il mio collo e lo spinge in giù, mentre qualsiasi altra cosa soffoca nella marea montante che mi investe e che può sembrare come tutte le altre volte, ma non lo è. Non somiglia a nulla che io sia riuscita a fare.

Mi sento persa quando Lui mi tocca, il mio cuore è così espanso che non so come reagire. È un ponte che si getta tra noi e non riesce a smettere di farsi alto. Tutto il resto si cancella, tutte quelle ore sospese di sconvolgimento tramortito svaniscono come mai state. Sono perduta, quando Lui mi invade, Lui è nella mia testa e non mi lascia più.

Sa come accendermi e portarmi in un lampo dal ridere allo spalancare le gambe. Tutto è un impulso viscerale, così vicino al dolore delle parole non dette, alle parole che “arrivano dopo”, che in quel momento giacciono appena sotto le lacrime. Quando mi colpisce so cosa significa, sento quella forza schiacciante e non posso resistere.

Lui avanza, avanza, avanza dentro di me, in un possesso esasperante, nell’urgenza di riportare se stesso e me nel posto, qualunque esso sia, in cui eravamo, in cui sappiamo essere da sempre.

Ma estraggo questo processo a posteriori, dopo che la Sua mano scivola dentro di me. Si cosparge di lubrificante e cerca di stiparmi tutta, per lasciarmi un segno indelebile, a colmare l’oceano di domande e cicatrici e sofferenza tra noi. Non posso pensare ad altra maggiore profondità di dolore, mi stringo a Lui mentre la Sua mano mi riempie il vuoto. Impazzisce il mio cuore, mi lascia senza fiato, in un impulso sadico che si nutre della nostalgia lenta che è stata, ora martella cieco.

Intreccio le mie dita ai peli del Suo petto e ci esploriamo a vicenda le carni, ci crogioliamo negli odori e nel tocco dell’altro. Nel delirio di un amplesso che porta e riporta all’orgasmo e ci tiene uniti, vivi solo perché esposti allo sguardo, ancora e di nuovo, come una falena segue la fiamma, quando Lui mi riattizza, mi blandisce, mi strofina le Sue dita dolcemente sul clitoride grande come una caramella. Finché la mia espressione è di nuovo concentrata, e la mia lingua gioca con il bordo e la testa del Suo glande, gioca sulla Sua pelle e sulle Sue vene, sente la Sua voglia – tesa e bollente – e tutto dice che non siamo altro che materia, sangue che scorre a fiotti sotto pelle.

Ci muoviamo senza ossa uno sull’altro, non siamo che acqua.

La scrivania geme dentro gli infissi. Noi gemiamo in contrappunto, io a ogni spinta di Lui e Lui a ogni ritiro momentaneo dalla mia bocca.

Il Suo odore, sandalo e ambra, sale e sudore, filtra nelle mie narici, nella mia pelle e in tutto ciò che mi circonda.

Luccico ancora della Sua carne, della Sua saliva, e ancora non ho protezione dalle Sue dita, che di nuovo strofina in movimenti circolari, senza fermarsi, finché non mi fa urlare e tremare un'altra volta dall’orgasmo. Mi sussurra che vuole colpire il mio corpo nudo, che vuole infilarmi anelli d’oro alle dita delle mani e dei piedi, ai capezzoli e al collo, alle caviglie e ai polsi, alle labbra e sul gonfiore che si intravede e sporge rosa scuro in cima alla fessura, mi sussurra che vuole bruciarmi nelle pieghe della pelle, nella Sua riscossione del calore dalla carne.

Resta a guardarmi mentre i miei occhi brillano, mentre vengo, facendomi rabbrividire con una dolcezza che mi strappa dal fondo della gola un suono acuto, a metà tra un gemito e un singulto, mentre le Sue dita all’apertura dell’ano mi stuzzicano ancora con l’effetto di un secondo clitoride a cui vengo di nuovo.

Il mio corpo è una colonna di calore tra le Sue mani, produce un rumore osceno, un suono bagnato, un ritmo che si increspa e si dissolve in ogni sberla che Lui abbatte sul mio culo cattivo. Mi percorre una scossa che si infila in tutte le cavità del mio corpo, ad ogni colpo infilzandomi del Suo cazzo sempre più a fondo. Ancora. Più a fondo. Sopra le gambe della poltrona che scricchiolano, esageratamente, non fossimo oltre l’orario, mentre stride il legno insieme alle ultime sculacciate che esplodono.

Il dolore inizia a sciogliersi in calore come la Sua voce e la beatitudine che sento. Mi schiuma dentro, mi sceglie di nuovo, ancora a sé mi consacra, per defluire poi da me con tutta la mia totale e compiuta devozione di schiava.


(A Michael)