SENTI CHE SALE
Senti il senno che annebbiato ci lascia, ci sfascia, senti il miele che monta. Quell’eccitazione che alla pelle ci opprime, s’addentra e s’inietta come veleno pervinca, ci ammalia e ci ammanta di siero antiruggine, come fosse di pioggia quest’estratto che impregna, che legna le membra e la mente, nell’assoluta coscienza d’esser una cosa soltanto.
Senti la febbre che affamata ci prende, ci stende, senti la forza che tiene. Tra mani setose che carezzano care, tra bocche leziose che leccano succhi a sfinire. Senti che lingua fa leva di vento, di dentro che scioglie e raccoglie, senti che dita, che unghie ci allentano gli antri, lasciamo che i sensi allunghino i gesti e i fremici corpi affoghino sciolti, fra gambe di ferro che serrano, e altre d’argilla che cedono a offerta, come preghiera predetta che ha certa perfetta risposta.
Senti la manna che annidata ci cinge, ci vince, senti l'invito che evince. Ci langue il latte che erompe, che erode le labbra come sale ossidato nel sangue. Senti il sapore che s'aspra sui sensi, arrendiamoci ad esso, adesso, addensiamoci dentro le pieghe allagate del sesso, il piacere da sempre sublime di placare la sete, d'appagare d'impulso il cuore e la carne.
Senti lo scotto che improvviso ci paga, ci piaga, senti il peso che porta. Premiamoci contro col ventre che spancia, che scalcia ogni volta che vengo, ogni volta che affondo più sopra o più sotto, ogni volta che annego nel tuo prolifico pianto. Senti che coro s'innalza frattanto, s'innerva sconnesso dal centro alle cosce, come se quelle pozze che stanno nel mezzo non volessero altro che diluvi a dirotto per riempirsi del tutto.
Senti il laccio che accorato ci duole, ci vuole, senti l'amore che muove. Stringiamoci ora, avvinghiamoci avidi, perché non credo ci sia grazia maggiore di gioia, non credo ad altra concessione che a questa.
(A Michael)