05 febbraio 2006

Lettera a Distanza



Note:
è l'ultima pubblicazione, ringrazio tutti, coloro che sono passati e hanno lasciato un segno, coloro che solamente mi hanno letto e chi per caso si è riconosciuto o mi ha detestato. Chiudo questo spazio perché sento è arrivato il momento...

Lungo da dire, da spiegare... cose mie, magari altrove me le racconterò meglio.
Scusatemi.



Imprevisto.

Paziente.

L’effetto si sente quando il livello della dose è andato oltre.

I giorni passano, i ricordi quietano lucidi, la distanza spezza le catene.

La densità dell’emozione è un’onda all’inizio. Poi travolge.

Il corpo e la mente fermi in una morsa.

Nel languore.

Nell’inettitudine latente, del dio Io.

Io scrivo, quindi, parole a non vedere il punto ultimo di frase.

La mente vaga, ancòra, rivive il viaggio tra le profondità della tua voce.

Tra note logore di misericordia.

Nell’inflessibile ferocia.

Io percepisco adesso l’importanza, l’agonia che mi consuma, la nenia che mi vince e il tempo.

Il tempo a montarmi l’ore senza battere un minuto, a riempirmi tutto, anche il tormento alla deriva.

Ma non subito. Prima raccolgo. Vibro. Vivo.

Prendo ogni istante che mi sei dentro.

Fino alla fine del tempo, quando tu vai e io mi allontano, mi rendo conto: ho stravolto tutto quello che altrove direi mondo.

Mi trasformano i pensieri, i riflessi inducono, mi denudano spogli di pretese, ricompongono impazziti le schegge degli specchi in cui mi hai infranto.

La natura mi muta polimorfa. Il tuo volere ora lo chiamo.

Lo chiamo Verbo.

L’alter ego, l’unico a sapere.

Io scrivo, adesso, parole a ritrovare strade strette con le corde, i segni immolati in mente.

Non chiedo argini a trattenere il fiato, sola mi impiego alla malinconia che spezza il cuore.

“Rinchiudetemi, vi prego…

in un angolo a pensare”.

Le mie mani ora chiudono le dita, un pugno.

Le mie unghie feriscono, io urlo.

I miei polsi ora ritrovano le croci, alternano alle vene lo struggimento delle lunghe costrizioni.

Io sento le preghiere innaturali.

La culla cui mi davi priva di coscienza.

Adesso io ti penso, e torno a imprigionare corpo e testa: il cuore che ti cerca,

la mia voce in sottofondo,

il sibilo,

il pianto mi risalgono.

Striscianti.

È il momento in cui le grida iniziano la resa.

Il silenzio mi sgomenta, è una presenza mai sentita.

Non la mia.

Non la tua.

È la nostra a germogliare in gola mentre il dolore è relativa rosa, l’iperbole che curva e che mi frusta.

E’ adesso la tua assenza che mi schiaccia, in questo gemere assiduo che diventa rabbia.

E’ questa passione che non ghiaccia, il vero taglio della lingua che non trova la tua bocca.

Lo sento,

ora la violento questa parola scritta.

Grido,

“l’inginocchio se la guardi fissa”.

Io la violento.

La mordo.

La pretendo a strappare viva la ferita.

La mia vita che racconto intanto.

Una volta ancòra,

lacerata alla distanza.








(A Michael)