30 maggio 2006

Insonnia


di Shiho Fujiwara




È strano come a volte non riesca nemmeno a pronunciare il Suo nome, come se il pronunciarlo lo rendesse più umano di quello che è.

È che non oso, a volte, rivolgermi a Lui se non come alla Perfezione che esula dalla realtà, perché lo sento nettamente Superiore.

Quando ci penso e me ne rendo conto, scoppio a ridere. Lui è Grande, Magnifico, Straordinario. Unico, sicuramente per me.

Ma è soprattutto un Uomo, che ammiro proprio perché sa cosa significa essere Uomo.

E stanotte che non dormo, a Lui che è lontano, io scrivo.

Il silenzio avvolge la stanza dentro il suo drappo nero. E di Lui io scorgo la presenza per le vie più bizzarre e dolorose.

Il Suo sguardo non mi lascia, Lui è la dimora di ogni mia parola, di quei versi che spesso ho scritto.

A momenti sento il panico, per la Sua presenza e per il vuoto, sento che si vìola la mia sicurezza. Il Suo sguardo lo sento addosso e non lo vedo.

Mi alzo dal letto e accendo il monitor, finché con le parole non lo raggiungo, lo tocco, lo sento dentro.

Le fisso queste parole, lungamente come temessi di perdere, Lui con loro.

Sollievo, paura, angoscia – il mio cuore vibra in un tempo troppo breve per contenere tutto.

La notte con la distanza mi appare piena di minaccia.

Io mi sento sudata e ansimante come appena risvegliata da un incubo.

Il calore del Suo corpo lo sento altrove, a scuotersi, lontano dal mio. Ed è come se il Suo sentimento mi arrivasse, stregandomi, toccandomi il fondo.

C’è una tale intensità tra noi, simbiosi.

Io batto con la frenesia queste parole questa notte, per stringermi a Lui.

Respirare all’unisono col Suo petto.

Incapace di pronunciarne il nome: Padrone.

È che lo so quello che voglio, quello di cui ho bisogno, ma la paura di mostrarlo mi paralizza in pochi secondi, mi apre il cuore.

Così cerco di distogliere lo sguardo, sulle parole, mentre Lui è dentro, con fermezza, e non mi lascia. Lo desidero talmente che cedo, in un sussurro io lo chiamo, Michael.

Il senso che mi attraversa il cranio è feroce, il dolore del silenzio mi percuote. La Sua voce la sento, mi rabbrividisce dentro.

Finché non batto i tasti fino all’ultimo respiro e mi stremo i sensi. Io tiro avanti finché all’alba non ritrovo un’alleanza, soddisfacente, con me stessa.

La serenità che Lui m’infonde, a distanza.

Profusa nelle parole, sotto questo cielo, questa notte, più nero dell’antracite. Cupo.

Come il vuoto.





(A Michael)