10 luglio 2006

Sun(day)



Il suono sempre uguale della pala sul soffitto l’accompagnava dolcemente nel suo dormiveglia, a momenti lo stridore dei pneumatici la risvegliava quasi del tutto e a momenti il rollio dell’aria molle sulle lenzuola la cullava abbandonandola di nuovo nel suo sonno.

Le pareva di non essersi mai sentita così calma e protetta, sentiva il suo respiro regolare e la morbidezza accogliente del cuscino, ma non riusciva a capire cosa rendesse così surreale quella sensazione di dolcezza. Si pensava avvolta nella leggerezza della seta, si strofinava sotto le lenzuola, piegava le lunghe gambe e le tendeva, reclinava di lato e quasi arcuando la schiena allentava ancor di più quello stato di grazia.

Non esisteva altro luogo in quel momento dove avrebbe voluto trovarsi.

Si racchiuse ulteriormente su di sé e abbassò la testa, nascondendo il viso sotto la chioma libera e folta, nell’incavo ravvicinato delle braccia. Trovava conforto così rannicchiata, sfuggita alla luce della persiana a volte così perseverante da riuscire a raggiungerla, persino lì, dove lei si sarebbe detta comodamente indisturbata.

Ma il sole doveva già essere alto, e caldo, caldissimo, era in effetti riuscito a spuntarla sul letto, abbattendo il suo scarso tentativo di difesa ora lei ne sentiva il caldo abbraccio, la persistente presenza, il tocco a cui non poteva negarsi ma d’altronde né l’avrebbe voluto. Lei ancora addormentata, così lontana da se stessa, si sentiva sciogliere sotto quella carezza incontrollata.

Lasciò che il suo corpo vi cedesse, si deliziò di quel contatto fino a non distinguerne il contorno, ne seguì il decorso impedendo alla sua mente di movimentarsi troppo, si abbandonò e basta, restando immobile, avvinghiandosi a quel sortilegio prima che sparisse, si aprì e si preparò a quel calore che con tanta cura, generoso, la infiammava così a fondo sedandole la carne al tempo stesso.

Il lenzuolo le scivolò di dosso, lei si sentì nuda come sapeva d’essere, ferma e rovesciata su un fianco, le gambe lievemente discoste, le braccia a coprirle il volto. Avrebbe detto bruciante ora quella carezza ininterrotta, se ne sentiva salita dalla curva dolce dei talloni all’oro degli anelli che le cerchiavano le caviglie, almeno fino a che la vampa non le fasciò le gambe interamente, indugiando sostenuta nel solco dietro le ginocchia dove la pelle più sottile sensibilmente si turbava, scaldandosi ad avvolgerla, con un’intensità variabile che senza cedimenti le si insinuava tra le cosce.

Un palmo di fuoco sentì le infiammava la fessura lì sporgente.

Lei sospirò, forse gemette pensò poi.

Una mano le si scostò dal viso e la fronte le parve accaldata, il lieve movimento d’aria nella stanza la sfiorava freddo, più freddo di quanto fosse, per via delle piccole perle di sudore che la calura estiva aveva fatto emergere. La sua mano vagava alla deriva sul suo corpo, cercava di raggiungere qualcosa e si arrestava solo quando le sue dita si imbattevano in asperità e in reazioni promettenti, sui promontori dorati dal sole, sulle discese facili da cui cadere ma da cui la vita risaliva i fianchi, i quali invece la precipitavano giù, più in basso, ogni volta che vi si avvicinava, finché trovarono quello stelo animato che insisteva a farla impazzire seppure restasse piccolo e solitario.

Ne fu certa, gemette, alla cadenza perfetta e conosciuta del suo medio fra le labbra.

Cominciò a compiere piccoli cerchi, il dito si tuffava e riemergeva sembrando esausto, sostava per qualche tempo lungo il bordo e poi ricominciava con maggiore carica e prontezza. Andava e veniva, il dito si mostrava e la schiudeva, vivida, sotto il sole che lì batteva ancora.

Lei sentiva lo splendore della sua lucentezza, credendosi circondata da una moltitudine d’occhi sulle mura.

Finché una mano si posò improvvisamente sulla sua e a lei quasi mancò di respirare, paralizzata sotto quella pressione inaspettata che non la toccava ma con fermezza la comprimeva, avidamente, contraendola con una lussuria tale che la sopraffece.

Quando si ritrovò di nuovo sola, desta, eppure appena conscia del suo corpo, non avrebbe saputo dire cosa davvero fosse accaduto.

Non si voltò all’immaginata appartenenza di quella mano, restò invece ad aspettare… quello che avvenne dopo.

Lei lo desiderava talmente…



(A Michael)