L'attraversamento dell'IMMOBILITA'
Il legno della tavola sul lato della porta semiaperta,
il legno del parquet finemente lucidato e bruno, la luce che batteva sbieca,
mi raccoglievano nell’angolo,
in attesa,
occhi alla parete chiara.
Ripetevo a ipnotizzarli i minuti della pendola sul muro senza sosta,
perdendoci la testa, la mia irriconoscenza,
fino a stancarmi del corpo nella posa.
Il silenzio cominciava a farsi largo,
spingeva sostenuto sulle tempie,
catalizzava il mio pensiero,
seguiva i contorni della pelle,
riconosceva le mie forme,
le plasmava,
fingeva le mie gambe in movimento, i miei occhi
oltre la porta,
le mie mani sul tela della lampada oscurata.
Era
la hora daliliana che si scioglieva in testa,
le parole
si piegavano in soprannaturali controsenso,
le contorsioni del ragionamento,
io ammazzavo il tempo, l’allungavo a piacimento,
mi contenevo sulla curva delle lancette di un dipinto, ero
in disfattismo acrobata di me.
Il mio masochismo.
L’immobilità e la lotta contro l’urlo di una mente sempre in movimento. L’occhio
occipitale
restava aperto tra le piaghe del mio tempo.
La sorpresa del rumore, l’attesa
di un avvenimento,
la catarsi funambolica di un’ipotesi e del suo svolgimento.
La scoperta
di trovarsi mente senza corpo,
l’avvertimento al cambiamento.
La paura che mi veniva incontro, in fuga
dal ripostiglio sconquassato sotto la pressione sensoriale, dopo i tempi morti,
immunodeficienti,
all’appropriazione dell’azione sul dolore del silenzio
e sul diluvio
dei recettori a scaricare ogni energia sommersa.
Io mi davo
alla comprensione sottointesa,
alla parola oltre l’apparenza,
oltre il significato manifesto ed illusorio,
io scandagliavo
di luce tattile,
con la pelle la rivoluzione dell’ascolto.
Il freddo
l’avrei sentito in cinque punti, dilagante,
le dita al prima tocco,
la scia gelida a scendermi la schiena, nel ghiacciarsi
della consapevolezza,
l’essere che esiste oltre la mente in corsa,
nell’immobilità, con lo scaldarsi
del corpo che si abitua, si stempera alla differenza.
Il passaggio del calore non visibile,
lo scambio
che ricongiunge all’equilibrio.
Io, in anestesia di movimento, vivevo della pelle,
sulla pelle accesa,
la risposta immaginifica e continua.
I pori aprivano e chiudevano, proclamavano
il proprio desiderio in rispondenza, dialogavano
con lingue silenziose,
innaturalmente conosciute.
Contro il legno
ad integrazione del mio ventre, sotto i piedi
attaccati al pavimento,
io
distaccata,
in ammirazione,
percepivo tutto oltre il gesto, io neuronica e d’inconscio.
Ero la meraviglia dell’immobilità intelligente,
lo stupro al conoscibile,
l’entrata trionfale dentro il dubbio,
nel segreto concepirsi.
Io, nell’immobilità,
ero il mio risveglio.
(A Michael)