01 aprile 2006

Carezza






Il muscolo guizza e la coscienza è subito in tensione, al limite, aspetta l’esibizione di un’eccitazione di sensi.

Sa, della pericolosa carezza…

La lama è scintillante, e affonda, solca la carne con lentezza, fino ad avallare la pelle dentro un abisso squarciante di nervi.

Tesi.

La lama penetra con delicatezza, senza una ferita ancora.

Ed il gesto è perfetto, tutto è la dimostrazione del dominio e dell’intelligenza; ma, seppure il controllo è assoluto, anche del più piccolo movimento, anche se il respiro è chiuso dentro il silenzio, intanto, comunque, la paura si fa scura, sotterranea, velocemente si addensa.

Culmina.

L’attesa è una massa elettrica soprasotto la superficie, ed è già nuda sofferenza.

Il potere del pericolo è nella chirurgia che movimenta il polso, liquido, mentre la mente si soggioga e la carne è già straziata sotto la minaccia.

Quando la lama tocca, l’ansia si raggela, il corpo vacilla ed è un istante.

La mano è ferma, fatale, serra il manico e compie un cerchio perfetto, è il giro inquietante del braccio di un compasso, tra il solco del collo e l’incavo dove il seno più resta indifeso.

Il contatto è uno spasmo senza certezza. È la morte che bacia sinistra ed è d’imparagonabile bellezza. Tutto diviene pozzo, voragine, spirale che risucchia, fino alla vertigine della consapevolezza.

Il taglio è splendente.

Solo un rumore sordo.

Ed io cammino in bilico all’abisso, sento l’attrazione devastante della rovina, lo spiegamento liberatorio dentro la caduta e l’ultimo grido prima dello schianto.

L’acciaio luccica, attraversa la pelle appena e traccia un’appartenenza bianca: è il graffio della lama dura sul candore della carne intatta.

Poche le perle rosse, così dolce è l’odore. E il sapore.

Indimenticabile di ruggine.







(A Michael)