Mind - fucking
Avevo la mente confusa, per il modo in cui le Tue mani e
(Grazie…).
Non vedevo l’ora di uscire, oscillare sui fianchi e infilare le dita nella calda fessura dove le perle danzavano fulgide.
Appena dietro i miei lobi.
Continuavo a indugiare sui grani come da lì a poco, sapevo, Tu avresti fatto con me. Sentirli ruotare tra le mie dita mi dava piacere. Era stimolante.
Giocavo con loro come Tu avresti “giocherellato” con me.
Poi, prima ancora che potessi registrarne l’attrito, mi premesti K. addosso. Lei si strusciava, si torceva, si perdeva in rumori che avrei detto lucidi. Si stringeva ossessionatamente il Tuo sesso al petto.
E, mentre il suo corpo e il modo in cui ondeggiava traboccavano di piacere e di impazienza, in un modo che non saprei dire, pensai: non mi sono mai sentita “usare” così.
C’era sempre la stessa determinazione, la stessa intensità animale, ma non ero più sicura di ricevere la stessa accortezza con cui le Tue mani mi avevano sempre maneggiata.
Il mio corpo era solo un corpo, in una stanza buia, calda, pigiato tra un altro corpo e un muro.
C’era una parte di me che sentivo ignorata, lo splendore che mi animava dentro non trovava nessuno per cui sfoggiarsi.
L’anomalìa emotiva che mi ruotava in testa, mi disorientava, mi spaventava, non mi faceva sentire considerata.
Non mi era mai successo con Te. Non c’è mai stata nessuna esitazione.
Ma in quel momento
Mi toccavi, mi prendevi, mi parlavi, ma mi ignoravi. La mia mente faticava a registrare, e tuttavia non potevo negare di essere eccitata. Il fatto che si trattasse di Te continuava a farmi sentire ugualmente speciale. Il calore del Tuo corpo e di quello di K. mi rendevano già fervida e disponibile.
Finché non mi sentii soffocare, quando le Tue mani mi spinsero a terra, lasciandomi cadere senza riguardi.
Provai un disagio incalcolabile, mentre giacevo lì, dimenticata, ascoltando i vostri gemiti e i frammenti di un discorso sottovoce che percepivo appena.
Aspettai, ancorandomi al come ti sapevo da sempre, ma sentii ugualmente la gioia tramutare in un impeto d’angoscia.
Stimolata nonostante tutto, mi ritrovai vulnerabile sotto il profumo dei vestiti dove mi avevi lasciata stesa.
Non riuscivo a capire.
Non riuscivo a decidere se fossi triste, delusa o arrabbiata, mi sentivo esclusa.
Ero sospesa su quel pavimento, nella stretta di quel maglione, di quei pantaloni e di quelle calze, sotto la gonna di K., sotto le sue mutande. Mi mancava l’aria, ma aspettai ancora.
Mi facesti salire carponi sul letto, mentre K. mormorava debolmente qualche parola di protesta. Protesta che i Tuoi occhi disciolsero abbracciandola silenziosamente, acutizzando uno spasmo nei miei sensi.
Ero sconvolta, e non per ciò che accadeva, ma per quello che mi smuoveva dentro. Mi impressionava la posizione che occupavo tra voi, mancava l’armonia dentro di me. Continuavi a farmi ciondolare davanti a lei come un ninnolo antico e il Tuo sguardo, fermo di fronte al suo, ignorò me per tutto il tempo. Spietatamente. Spezzandomi.
Perché ero senza difese con Te, nuda e squarciabile come un cristallo troppo leggero. Sotto troppa tensione.
Mi sarei rotta di sicuro e la mia essenza si sarebbe dispersa in quella stanza se non si fosse trattato proprio di Te.
K. rideva, faceva scorrere i suoi piedi sul mio corpo, si dedicava a strisciarli su e giù tra le mie natiche, passava sulla mia schiena, sui miei capelli, sul mio volto, la sentii premere contro l’ano forzandosi a entrare, finché cominciò a scalciarmi sul posteriore. I suoi piedi mi colpivano come piccoli paddles, e non fu certo per il non dolore che mi mancò qualcosa in quel darti piacere.
Mi mortificava.
Ero nauseata.
Mi sentivo abusare l’anima.
Tu, a cui disperatamente cercavo di arrivare, sicura che riconoscessi il mio stato d’animo, non ti lasciasti commuovere.
Sorridesti a lei. Annientando me. Indifferentemente mostrando di non farti scrupoli.
Ti adoravo, ma al tempo stesso in quel momento mi squarciò il dolore.
Da qualche parte dentro di me continuavo a sentire un rumore di vetri rotti, così scesi in quel luogo oscuro dove stagnavano la vergogna e l’abbandono: K. spingeva il suo piede nella mia bocca e io non riuscivo più a sentire. Un attimo alla volta, persi il bagliore dell’intimità che con Te c’era sempre stata. Mi sentii opaca e smunta come una perla vecchia. Stipata dentro la mia angoscia, un mondo infernale fatto di dubbio e di consunzione distruttiva. Mi vidi appesa a un filo, debolissimo, e ricordandomi che il restarvi unita dipendeva comunque anche da me, violentemente me ne strappai.
Mi rivoltai.
Con tutto l’abbandono e l’oscurità perfetta che eri stato capace di far scendere dentro di me, insorsi. Mi ribellai. Reagii.
Fu visibile come il segno vistoso e sottile lasciato dal legno, mostrai sul viso il nulla che era passato sopra di me, intorno a me, dentro di me, per tutto quel tempo in cui ti avevo atteso.
Scaturì la mia sofferenza. Me la strappasti fuori. Appositamente. Lasciandomi dimenare, inveire, vomitare le mie stesse devote parole.
Mi riducesti ringhiante e fui feroce.
Con Te.
Con K..
Affilai la lingua e sputai il veleno che non sapevo di avere. Rigettai la mia frustrazione. Il rancore che pareva avermi riempito e non riuscii, davvero, a rendermi conto quand’è che l’avessi deposto così a fondo.
Volevi che fossi tutta me, tutta.
Volevi che rinunciassi al mio riguardo nei Tuoi confronti, volevi che oltrepassassi il nostro legame, il mio amore, volevi che ti mostrassi il male e la sua bellezza, la sofferenza che mi aveva rinchiusa e resa ruvida, fredda e cinica con gli altri. Volevi la vitrea intensità che mi era rimasta dentro, impossibile da distinguere nel dolore.
Paradossalmente avevi così eluso la mia paura a perderti, abbassando ulteriormente le mie difese.
Lo provocasti intenzionalmente quello spasmo nella mia mente.
Volevi la mia delicata fragilità, volevi me da togliermi il fiato, volevi risucchiarmi il sangue, mio malgrado, riconoscendomi un’aura di spontaneità che esulasse i miei naturali rituali di difesa.
Era necessario, mi volevi Tua.
Tutta.
Così mi ascoltasti senza replicare, non tentasti nemmeno di difenderti, aspettasti che si compiesse quel nulla che mi ghermiva ancora, finché rimasi vuota e piansi.
K. non osò più ridere e mi guardò trasfigurata, con una dolcezza e con un’umiltà che arretrarono la mia rabbia.
Tu entrasti con i Tuoi occhi nei miei e mi mostrasti allora tutto il Tuo orgoglio. Per me. Con un infrangibile messaggio in bottiglia, mi permettesti di berne lunghi sorsi.
Mi aggrappai letteralmente a Te e solo allora capii, vidi la luce folgorarmi. Sentii il calore del Tuo sguardo che portava via tutta quella sofferenza e riconobbi l’argento vivo in cui mi avevi fusa. Ti venerai in quello stesso istante. La mia vita si ripresentò fulgida come la perla più splendente.
Immensamente sorrisi.
“Mi conosci così bene…”, dissi, e abbassai lo sguardo. Mi avevi resa nuovamente leggera come il vento, spalancata al Tuo orizzonte, nuda e rivestita di una ricchezza che non sapeva esaurirsi.
Mi avevi svuotata, presa, ribaltata, azzardando tutto.
E mi stringesti poi, abbattendo inesorabilmente le porte che erano state aperte dall’angoscia.
Mi stringesti, forte da segnarmi dentro, mentre K. stava scivolando via dalla stanza, lasciando a noi bruciare quel liquore che aveva finito per velare con avidità la nostra pelle.