02 aprile 2006

Training





La lunga abitudine di muoversi al suono della sua voce le impose di andarsi a sedere sulle sue ginocchia.

“Vieni a sederti qui”, lui batte con la mano sulle cosce.

La sua voce è salda ed energica, una voce che spesso lei ha sentito urlare, ma mai bisbigliare come ora.

“Quello che devi capire, è che adesso niente e nessuno conta per te. Devi chiuderti in te stessa. Svuotarti il cervello. Ricordati perché sei qui e dove sarai tra qualche giorno, tienitelo dentro il tuo dolore, adesso più che mai, e dimostrala qui e in questo momento la tua abnegazione. Adesso prendi coscienza di quello che fai, e sentilo dentro, nel cuore, sentilo dentro il sangue mentre ti monta.”

Christian le parla con trasporto, e intanto le sue mani le toccano il viso con un’infinita tenerezza, una tenerezza che lui non le ha mai dimostrato prima e mai lei avrebbe creduto potesse esserci tra loro.

Lui con la mano lentamente le solleva il mento, le sfiora una guancia, e lei per un istante crede che lui le toccherà le labbra, con il polpastrello del pollice, energicamente, e lei sa che ne resterebbe turbata. Lui l’accarezza in un modo che non potrebbe sorprenderla di più, e in un momento così inatteso che lei resta incredula, incapace di parlare, di sottrarsi a lui o di rispondergli almeno. È che, ad una simile eventualità lei non ha mai pensato. Lei resta seduta, è sulle sue ginocchia, quasi immobile, sta senza respirare, come in attesa.

“Tu non lo sai di cosa hai bisogno adesso”, lui le sussurra quasi, la sua voce è poco più di un bisbiglio, ma è ferma, forte, una voce a cui lei è abituata ad obbedire con una naturalezza di cui solo ora si rende conto.

“Tu ti fidi di me? Lo so che a volte sono brutale e ti insulto, che ti urlo contro, che ti faccio soffrire l’inferno perché sono testardo e ti voglio portare al risultato che per te mi sono prefisso, lo so che ti obbligo spesso a negarti anche molto… anche il respiro se serve. Ma tu ti fidi di me?”

Lui parla e la sua mano non la lascia, è ancora ferma a trattenerle il viso, lui la costringe a guardarlo, ma la sua morsa è dolce, è lei che non riesce a muoversi, non capisce dove lui la voglia andare portare, non capisce quella situazione e così resta a cavalcioni sulle sue gambe e inebetita lo ascolta. Lei non può fare a meno di pensare che in quella luce non l’aveva mai visto, mentre ora non può non notarlo, non può non sentirselo dentro in un modo diverso.

“Sì”, lei gli risponde, ed è sincera, si fida di lui, lo conosce da tempo, e adesso lei pensa, lei prende coscienza in questo momento, che le sue parole d’ora in avanti non le sentirà più le stesse di prima.

“Allora avanti, dimostramelo. Nessuno può fermarti, tranne te stessa”.

Lei allora allontana lo sguardo da lui e lo rivolge allo specchio che la riflette. Lui ancora le tiene il volto in una mano e, delicatamente, continua a lisciarle la pelle. Lei è sudata, stanca e dolorante. Le sue guance sono fortemente arrossate, provate dallo sforzo che per un’ora l’ha tenuta inchiodata sotto delle macchine infernali. Lei lo guarda e comprende, lui la sta esortando a non cedere, proprio adesso, quando lei è giunta al limite.

“Oddio, va bene, squarciami se vuoi… fottimi il cuore. Lo sai che è di questa sensazione che ho bisogno, è quello che mi serve per prepararmi. Per farcela quando arrendermi non sarà possibile. Per tenere duro e sentirmene fiera.”

Lei questo lo sa, da sempre, e adesso lo conferma con foga.

“Allora dimmelo.” Lui la osserva fisso.

Lei per un attimo vacilla, rabbrividisce. “Cosa?”

“Dimmi che lo vuoi.”

Ed è un attimo e per lei il silenzio cala precipitosamente, lei ora deve sapere, lei ora deve essere più decisa che mai.

“Vorrei… anzi cazzo, certo che voglio. Lo sai. Lo sai quanto mi è costato arrivare fino a questo punto, ho quasi sputato sangue per resistere. È che… non ce la faccio più, sono sfinita, sono esausta. Sono prosciugata, rimasta senza forze.”

“Ma tu non devi. Non ti devi preoccupare di questo. Ci sono io, e ti seguirò passo passo. Ti picchierò se necessario, pur di non vederti mollare.”

“E’…, cosa vuoi dire?”

Lei non riesce a trattenere la domanda, le esce spontanea, il dubbio che le attraversa la mente, su cui si sorprende a pensare ormai da alcuni minuti, come mai prima d’ora, quel dubbio adesso le sembra prendere forma, lei concepisce l’assurdo di un impensabile sviluppo della loro relazione. E questo le provoca uno spasmo acuto, di paura, all’addome. Inevitabilmente lei si piega, si tiene il ventre, un crampo la contrae. Lei bruscamente si volta a guardarlo.

Christian è calmo, concentrato, ma i suoi occhi espertissimi di corpi notano la sua improvvisa contrazione, l’irrigidimento che la coglie e la tradisce.

Lui la scruta più profondamente adesso, si fa più duro, la sua mano le scivola sul collo, lei è ancora sulle sue ginocchia, con una dolcezza che la stordisce lui le scosta le ciocche dei capelli incollatesi sulla fronte, sulla sua fronte imperlata di sudore.

“E dai… vieni qui”, lui le parla piano, e la stringe nel frattempo. Lei ha la sensazione che la stanza si metta a girare intorno togliendole il fiato, per poi arrestarsi di colpo, schiantandole addosso quelle assurde pareti che la ripetono a specchio, quei mimi fissi su di loro, indiscreti testimoni di quell’inaspettato contatto. Di quell’abbraccio stretto.

Poi lei si ritrae e lo guarda.

“Perché lo fai?”

“Faccio cosa?”

“Bhè, mi stai coccolando cazzo, Christian!”

Lei trasecola, si stupisce, il quadro ha preso una piega imprevedibile.

“E’ vero, ti sto coccolando… perché ne hai bisogno. Ma tu perché ci pensi?”

“A che?”

“A come potrebbe essere.”

Mentre pronuncia quelle parole, lui la stringe ancora più forte, e continua ad accarezzarle il collo. Lei decide allora, smette di pensare, ora lo bacerebbe, e capisce che potrebbe farlo, senza per questo alterare nulla di quello che altrove appartiene ad entrambi. Lei lo desidera, eppure quasi con violenza, lei si libera da quell’abbraccio e precipita giù dalle sue ginocchia, lo guarda fisso, lei sente una strana rabbia adesso.

Lui la lascia fare, non la trattiene, la osserva e poi scoppia a ridere, risatine piccole che crescono e le procurano fastidio, risatine poi sempre più forti, fino alle risate disarmanti. Finché lui smette e la guarda, ancora divertito.

“Sei proprio una bambina, lo sai?”

“Una bambina deliziosa”, aggiunge.

Lei si confonde.

Lui le sorride.

Lei è furiosa con se stessa e lo sa, non ce l’ha con lui.

“Avanti, torna sulla panca. Ricomincia daccapo. E con decisione stavolta. Trenta serie, alternate, e su ciascun fianco. Ricordati perché sei qui.”

Già.

Lei è lì per allenarsi, come fa da anni ormai, Christian l’ha definita nel tempo, nel corpo, l’ha scolpita, l’ha resa asciutta e leggera, l’ha levigata fino allo spasimo. L’ha resa capace di resistere anche per ore alle lunghe sessioni con Michael. Christian l’allena da sempre con determinazione, con passione e con orgoglio.

Lei quindi ora scavalla le gambe alla panca e ricomincia, obbedisce, ogni movimento che l’attraversa è come una danza fluida. Lei lavora adesso, instancabilmente, su se stessa, senza un lamento, lei ora è di nuovo sola, chiusa, nella sua trance privata.

E intanto, lascia perdere, lei si ripete in mente, non è cosa.

Non adesso, almeno…




(A Christian)