Fianco a fianco
Appena varco la soglia l’aroma del legno e un accenno di cuoio circolano in ogni angolo del mio corpo. La stanza porta il Suo odore.
Lui, Michael, è di spalle, K. è sdraiata sulle ginocchia. Ha le mutandine attorno alle caviglie e il sedere in fiamme. Sicuramente piange, ma non esce un fiato dalla sua bocca, avverto il suo respiro smorzato e non oso avvicinarmi.
K. si trattiene. Con la gonna fluttuante rovesciata sulla schiena, l’arcata delle scapole è seminascosta e il volto si intravede a stento sotto il caschetto liscissimo dei capelli. Nemmeno si volta quando entro nella stanza, nemmeno pensa in quel momento, ne sono certa. Non esiste niente che non sia lì e ora, K. è pura emozione, è sensorialità. Non ci sono altri momenti, altri luoghi, altre persone. Per lei, io non sono che una presenza effimera in cui Lui sta rispecchiando la propria grandezza. Oltre Lui non c’è altro. La guardo, allargata a terra, e simpatizzo con la sua sofferenza. La capisco.
Mi avvicino e nel passargli accanto sono sopraffatta dal desiderio.
Senza una parola, Lui mi tocca la gonna e slaccia la cinghia alla cintura. Il suono della cerniera che si abbassa sembra assordante, soffocato soltanto dal pulsare delle mie tempie. Ogni movimento è lento, voluto, attento, e di questa lentezza cresce l’intensità dell’emozione. Il silenzio è punitivo, inflessibile, autoritario, mi seduce e comincio a cedere, resisto con difficoltà. Eppure voglio, voglio resistere, aspettare. Voglio godere di ogni momento. È Lui a volerlo.
Ma l’attesa del momento è tale che il bisogno diventa insaziabile. Sento la stoffa che si allontana dalle mie natiche e so di essere esposta, con la consapevolezza che la mia esigenza fisica cresce in spirali. Cerco di proposito di non assaporare la carezza delle mutandine mentre Lui le abbassa sulle mie gambe. Ho la necessità di rallentare.
Di respirare.
Lui mi sfiora con la mano, il Suo palmo stringe deciso il mio gluteo, mi apre e nel momento in cui la punta delle Sue dita si avvicina al mio sesso, non so perché, mi sorprendo, arrossisco: Lui sente il profumo della mia eccitazione. La mia sottomissione si estende all’istante. Il desiderio aumenta il grado della mia obbedienza. Come il Suo bene più prezioso non desidero altro che appartenergli, essere il Suo strumento.
Con le mani avanti chino a terra e mi inginocchio accanto a K., i nostri fianchi si sfiorano.
Brividi emanano dal suo corpo, tremiti che continuano a crescere e accrescono la mia libidine. Il primo colpo che arriva a lei mi fa ribollire il sangue, esaspera la mia febbre, provo la sensazione precisa in cui il mio corpo agogna. Lui mi riduce senza ritegno.
Il suono del birch è voluttuoso, sibila e taglia l’aria, squarcia il mio respiro. Mi sferza i pensieri. Io mi dimentico di respirare.
Il suono è quasi cancellato dallo schiocco sulla carne, dai secondi che paiono lunghissimi. Non appena mi colpisce, sgorgano lacrime di sollievo, fremiti di deliziosa sofferenza, non conosco altro che Lui.
Sono immobile, fisso le mie mani avanti e sono consapevole che la mia voglia sta colando da me. Lui mi sta infoiando e può avermi quanto vuole.
Le listate sono somministrate con un ritmo crudelmente lento, una carezza per K. e un colpo per me. Ogni discesa trova un bersaglio nuovo. L’impatto equamente distribuito mi percuote e mi conduce a docili affiatamenti con l’intensità di ogni colpo, ma ogni volta mi sconcerta la brutalità ancora maggiore di ciò che segue. L’ardore. La mia carne avvampa, si gonfia, urla.
Aspetto il mio turno e quando Lui mi batte, lo sento a un doppio livello, nel dolore che mi scioglie i lombi e nel sussurro che ripeto a mente: il legno è il Suo uccello, è il Suo uccello, mi penetra fino al midollo. Ad ogni colpo fremo in un orgasmo silenzioso, sento la potenza della Sua volontà e la mia energia è solo l’ombra del Suo potere.
Sento i Suoi passi sull’impiantito e sento la carezza della gamba di K. contro la mia. K. mormora di piacere e fa fatica a nasconderlo. Brividi di eccitazione la percorrono. La sensazione è sottile ma innesca in me un incendio che mi fa sudare.
Poi un sibilo torna a pungere l’aria, la taglia, ma il colpo non arriva. I tremiti del fianco vicino al mio continuano e mi istigano a sbirciare, a vedere oltre la mia spalla per saziare la reazione che mi suscitano.
K. lo vuole da non poterne più, Michael la sta toccando. Leggo sul suo volto il mio stesso desiderio e mi piace il suono dei suoi lamenti, la musica dolce e torbida che proviene dalle sue natiche affollate. La mia mano si offre a quella di Lui. Si aggiunge.
K. è sempre più spossata, è felice, gode. È cresciuta in questo tempo. La dolce bimba che ricordo ha le guance rigate dal pianto, ma non è spaventata, è infervorata, contiene il consenso per sopportare il caos che ha dentro. La percepisco calda, Lui è dentro di lei, e la sensazione nasce dalla mia mente e dalla mia carne. Una sensazione che mi infiamma, che mi gonfia il cuore. Lui l’ha resa grande e io colgo il guizzo che gli attraversa gli occhi, che inevitabilmente mi piega, attraverso il Suo sguardo io rivivo il brivido della mia arrendevolezza. Amo il Suo piacere. Amo sentire di dargli potere. Amo guardarlo. Solo il pensiero accelera la mia eccitazione, in quel preciso istante non ci sono né domani né ieri, tutto sembra assolutamente inutile paragonato a ciò che provo, all’essere lì, con Lui.
Lo voglio, ma Lui solleva il braccio in segno diniego e si avvicina a K. Io oscillo, incapace di trattenermi, vado avanti e indietro, invasata dal calore che mi si raccoglie tra le cosce.
Aspetto con impazienza il prossimo assalto, sento le sensazioni di K. attraverso il contatto dei fianchi e mi abbandono al calore sempre più diffuso sotto la sospensione della libidine.
Sono lacerata e bruciante, travolta da una voglia feroce tra le gambe. Vedo che K. strizza gli occhi, ha arginato le lacrime, ma me ne dimentico quando il colpo successivo si flagella sulle mie natiche, atterrando su entrambi i glutei. Spalanco le cosce maggiormente, in modo del tutto irrazionale, ormai sotto una stimolazione intrattenibile. L’orgasmo mi vibra dentro.
Il Suo dominio, tranquillo, sicuro, forte, è nel profondo della mia anima. Ha il nido nel mio cuore. Io sorrido, tra le lacrime.
Il rumore secco che segue mi imprigiona, mi tende di scatto, ma sono sorda al mio stesso sussulto. Ho aspettato così tanto la pace del Suo dolore che mi inghiotte, che mi brucia sul rogo e mi squarcia in un’umidità indistinta che capisco è il mio sangue. Il mio sangue affiorante appena, screziante il corpo, colmante della Sua gloria. Il Suo dolore mi scuote le vertebre e velocemente scivola, con una chiarezza sconcertante da farmene conoscere il momento, scema, svanisce, cura le ferite dell’attesa, mi accalora di un irresistibile bisogno, e nella mia unica percezione di Lui, nel mio abbandono, esclude il resto del mondo. La vibrazione mi fa godere, credo di sentire le Sue mani sul mio corpo.
Ogni terminazione nervosa è tesa dal piacere acuto che mi sfreccia dentro e quando l’ultimo bacio amaro si abbatte proprio sulle pulsazioni del mio godimento, l’esplosione è così forte che lascio l’impronta delle mie unghie sulla pelle serica di K.
Lei strilla e io godo di quella sofferenza, mi perdo, i miei occhi dilatano in quelli di Lui.
(A Michael e a K.)