NOTTE SANTA?
Sei tu che mi hai detto, vesti elegante stasera, c’è festa.
Scegli le cinghie delle scarpe più nere, dove i ganci ti fanno più bella, metti la pelle più lucida, perché quando cammini voglio guardare una stella.
Ti voglio madonna stasera, mi hai detto, serrando la gola in una sciarpa di seta, così lunga da non dare a vedere se stanotte sarebbe arrivata alla fine, se avrei intuito dal colore la sfumatura segreta: l’onda del nero a frustare la terra promessa, il rosso più cupo di una ferita che stilla o una spira bluscuro per una fiamma che cola, lacrime, come neve d’agosto, brucianti per i segni di un disegno di cera.
Sei tu che mi hai detto, ama questa vigilia diversa, già prima di sapere di ogni momento la storia.
Sei dietro di me mentre cammino e lo sento, che segui ogni passo, ogni scelta che faccio. Lo sento che mi indaghi dalle caviglie sui fianchi. Lo sento che sondi i miei lacci, se sono stretti da dirsi prigione, ma comoda e incerta, per lasciarti la voglia di stringere ancora.
E’ il tuo sguardo che mi monta e mi fruga come vento sotto la gonna, mi spinge furtiva a roteare sui piedi, in un ventaglio di gambe, per una posa che chiede senza dire parola. Come se fosse possibile capirsi senza parlarsi, come se i silenzi godessero del frusciare di pelle di gambe di sesso e dei tuoi occhi ad intuirne il decorso.
Perché io so, io voglio, come te quell’inseguirsi che infine mi prostra in ginocchio.
Sei tu che mi hai detto, metti le perle stasera, quelle che ti incidono Mia. Mettile in faccia a chiunque si azzardi anche solo guardarti, in piedi o nell’ombra se ti allunghi bocconi.
Sei tu che mi hai detto, stai attenta bambina, sèrra bene la lingua, richiama alla mente le lezioni di prova. Stasera sarai la mia bimba discreta, la bocca disposta, lì dove la cena sarà la carne che la furia violenta.
Così arriva la notte e mi immergo, su una strada elegante e maestra, lungo i viali sfacciati di una metropoli ingorda, con troppe luci, con troppi neon a svendere slogan come fossero sogni di adulti. Cammino e mi chiudo la pelle che inguanta, le gambe fin troppo tremanti, perché anche il freddo che sento stanotte mi avvinghia e mi fotte, mi morde non lasciando più niente che avanzi.
Davvero, sembro una gatta che struscia la coda sui muri, una femmina in preda alla voglia che esige, ancooora, prima dello sfinire di tutte volte che vuole.
Ancora una volta, anche in questa notte che è santa.
(A Michael)