06 maggio 2006

Specchio


di Martin Rafael Class




Il corpo si muove e lo specchio osserva ogni sguardo, ogni angolo, ogni rotazione compiuta dal collo, da una gamba, da un braccio, ogni piega: l’arco a torcere la schiena o il piede se cammina, l’arcata delle ciglia in muta domanda, l’arricciarsi delle labbra, lo schiudersi di ogni parola, di ogni azione voluta o indotta, di ogni respiro che gonfia il petto.

Allo specchio si è soggetto ed oggetto di sé.

Lo specchio svela il fallimento della perfezione. Lo specchio è il mio Io.

Basta notare un piccolo difetto ed ingigantirlo, perché si dichiari inutile ogni sforzo, o addirittura si disorienti il significato dell’esistenza.

Lo specchio è un indulgente benefattore se approva, ma è la mannaia del boia se disconosce. Lo specchio è un motivo di disprezzo del Sé, ma ne è anche una delle affermazioni più forti.

Se ne sente il potere, a darglielo. Ed io lo faccio, a volte, supercritica, lo specchio è un’imago che mi riflette inversa, perfettamente coincidente eppure esattamente diversa. Il mio opposto. Lo ying e lo yang.

Quegli occhi negli occhi, quel guardarsi con gli occhi dell’altro.

Mi mortifico infinite volte guardandomi, do un immenso potere ad un riflesso. Un’illusione. Un trasfert con cui nutro i mie vuoti d’assenza, le distanze da ciò che mi manca: Lui quando non c’è.

Mi sottometto allo specchio, ne faccio l’autorità che decide di me: oggi vado bene, oggi no.

Io esisto perché lui mi dice che esisto, altrimenti non ho consistenza, sono un fischio nel vento. Anzi nemmeno: il nulla d’assenza. Sono l’indifferenza.

In un caso lo specchio s’infrangerebbe, se divenisse inaffidabile a riflettere; se fosse deformante, irriconoscibile all’Es.

Se non vi trovassi il mio opposto, il mio completamento.




(A M.)