30 novembre 2008

Mottainai




Amo il nostro letto. Lo amiamo entrambe. Tuttavia, in questo momento, lo so K., me lo hai detto: “waniguchi”, bocca di coccodrillo.

Stai odiando il nostro letto per la troppa comodità. È troppo grande e troppo vuoto, ti senti persa. Divorata dalla notte. Anche se avresti tutto il tempo per prendertela comoda e recuperare un po’ di stanchezza, lasciandoti cadere sulle lenzuola e addormentandoti con ancora indosso una delle nostre uniformi, non ci riesci.

Perfettamente pulita e inamidata, avvolta dal tessuto leggero dell’abito scelto per te, un po’ troppo piccolo sul petto, in modo da formare uno spacco proprio in mezzo al seno, continui a tirare a lucido la casa.

Strofini e lavi, lustri il pavimento con la gonna corta, drammaticamente corta, e stretta, contenta che ad ogni movimento rispondi in pieno ai desideri più nascosti di Michael.

K., anche se ti piace stare sola e adori la tranquillità e il silenzio, adesso non puoi lasciarti andare, lo capisco. Per me è lo stesso.

Non puoi permetterti di trascurare niente che sia sgradevole. Anche dopo giorni sembra che il Padrone passi a dare un’occhiata, non si sa mai, e invece ci vuole tempo. Lunghissime settimane prima che Michael rientri, prima che io riprenda la via del ritorno.

Ti chiedi se nel frattempo ho gli stessi pensieri. Quale è il mio comportamento ora che siamo lontane?

“Dolcezza, passo come te intere notti sveglia a domare la mancanza”.

Ovunque mi guardo intorno, mi preoccupo prima delle cose importanti, che sia tutto a posto: l’appartamento immacolato e il mio corpo pronto, come se Michael dovesse arrivare da un momento all’altro.

Fingo di non accorgermene ma ogni cosa che faccio ha il chiaro intento di portare a termine un compito.

Ne vale la pena, sono soddisfatta del mio lavoro qualunque sia il momento che si sta compiendo, aspetto solo di avere i Suoi occhi addosso. A seguirmi ovunque mentre trotterello avanti e indietro, desiderando di sentirmi chiamare anche se sono stanca. Appena da un attimo appisolata o sotto la doccia, udire la Sua voce da un’altra stanza che esige l’ultimo bicchiere della serata.

Un’incursione nella Sua camera senza alcun altro indumento che la pelle nuda, e mentre lo faccio, girare il sedere verso di Lui, dimenandolo in modo sensuale e aprendo le gambe come a invitarlo.

O parandomi davanti immobile, in piedi, accanto al letto, aspettando che assaggi il drink per accertarsi che sia preparato con esattezza. Pronta a farmi i mobili, se me lo chiedesse, o a leccare il pavimento. Occupandomi di restare al mio posto mentre Lui è disteso, con donne mozzafiato o sconosciute accucciate accanto.

K., conosciamo le regole, potremmo infrangerle per una volta ma sarebbe inutile come voler indossare le mutande per stare più comode.

“Mottainai, K.”, dico, conserva premurosamente il ritmo del tuo respiro.