23 dicembre 2005

MECCANISMI


L'immagine è di Pascal Abadie



Ti ha sempre affascinato. Un movimento ritmico ed ossessivo come un ticchettio di orologio, il picchiettare nervoso dei denti. Perché ti ipnotizza quel gesto ripetuto, il suo rumore di sottofondo.

Non ti infastidisce la vicinanza, con la sua insistenza nervosa, un frusciare inquieto d’ossa nell’orecchio. E’ quel gesto inconscio, la molla che fa scattare avanti il meccanismo: l’attrazione.

Lei, beve e di continuo porta le dita alla bocca, mentre tu sei a un passo di distanza e parli con qualcun altro. Sai che non si accorge, ed è questo che ti piace. Lei che preme i polpastrelli tra le labbra, tesa ad una qualche rivelazione improvvisa.

Tu sai che lei sta aspettando lui. Non la guardi direttamente. Sembreresti preso, dalle parole di chi ti sta lusingando per la tua capacità di essere determinato. Percepisci invece solo qualche frase. Le chiavi di lettura di un discorso che ti consentono la divisione di quel momento in due. Sei con la testa in due posti diversi nello stesso istante, te ne rendi conto, la coda dell’occhio coglie ogni movimento di lei al tuo fianco, ogni impuntarsi dei suoi denti sulla pelle mentre diviene madida, mentre qualche parola contemporaneamente ti resta impressa.

Osservi il pollice che ruota al confine delle labbra, la lingua che deterge ed il serrarsi delicato dei denti. Lei ha cambiato il punto dove insiste, impercettibilmente. Senti lo sguisciare sottile della lingua.

Poi, di nuovo il battere tormentato ed indolente. Si guarda intorno lei, spostando senza pensarci la sua attenzione da un’unghia all’altra, lì dove la fibra dura entra nella carne e incide.

Non sa che tu stai notando la sua ansia. I suoi occhi cercano disperatamente tra la folla.

Lei non ti nota.

La pulsione nasce da quel levigare, strusciare, fregare, anche se l’espressione del viso ha la sua importanza, lei è così mesta e disperatamente lontana. Ti ipnotizza la sua bocca semiaperta, costantemente…

Si è voltata appena. Ti sposti un po’ anche tu per non perderne il profilo, dove le labbra luccicano e l’indice ed il medio si alternano, entrano ed escono, mentre ogni papilla cerca la pelle tra le pieghe, lì dove si frastaglia. Improvvisamente scorgi, un roteare convulso fra i denti, la lingua è pronta a percepire qualunque invisibile rilievo agli angoli, là dove la carne si fa morbida.

Lei fruga con gli occhi tra la gente e contemporaneamente assilla le sue dita in bocca.

Ha uno sguardo perso che la incanta, oscillatoria sempre sullo stesso movimento, ma non per molto, è troppo agitata per non cambiare freneticamente il punto su cui sfoga la sua attesa. Ad istanti si trattiene, si ferma quasi, serrando le sue labbra strette. Ad istanti.

E’ un’incredibile alternanza di lecca, di mordi e di alliscia, della lingua che cerca e del dito che affonda, tutto con la straordinaria naturalezza di una mente inconscia. Un automatismo che si sente addosso rimanendo ad osservare a lungo.

E’ bello, come un rituale. Eppure è solo un gesto irrazionale. Un piccolo morso, l’umidore che a momenti cola.

E’ un rosicchiare d’unghie.

Si capisce subito, appena s’avverte lo strusciare osseo dell’avorio. Il canto degli incisivi che si incontrano. Il labbro inferiore lievemente sporgente ad offrire un appoggio. L’indice che si avvicina alla bocca, la forza appena all’entrata, mentre lei è sempre tutta nei suoi pensieri che non riesce ad abbandonare.

E intanto la lingua guizza, con uno scatto cerca la parte esposta. Non si allontana mai, troppo, dalla mano ripiegata a riccio, dal dito teso, la sua preda. La lingua comincia a circondare l’unghia. Ne scorre ripetutamente la cornice, ne segue il solco a separare la carne. Bagna ed insiste nell’incavo, lì dove la sensibilità si esalta facilmente.

Da egoista, la lingua tormenta la superficie liscia.

Niente intorno riesce a placarne la movenza. Cambia falange e ripete il rito. Emerge e affonda senza stancarsi. Sta pensando a dove sia lui, se verrà all’appuntamento o se il litigio di qualche ora prima lo terrà lontano. Non desiste, non cambia nemmeno più la mano. Lei lavora alacremente e ottiene quel che vuole, tra i denti spezza la pelle sottile, un piccolo lembo da tempo inutilmente appeso. E tu che guardi, fremi. Sospiri senza darlo a vedere.

Allora, ti distacchi dalla conversazione che ti ha tenuto impegnato fino a quel momento, all’apparenza, e la guardi fisso negli occhi, senza dire una parola segui fino in fondo quel gesto, che finora hai tenuto solo per te, come un’ossessione nella mente. Lei continua e non s’accorge subito, disincantata squadra l’unghia e decide.

Volta lo sguardo e, nel mentre, i suoi denti si fanno lame sulla pelle. Non ce la fai più a vederle suggere quella carne ormai sfibrata, ormai diventata molle, che qualcosa ti esorta ad alzarti e ad andarle vicino. Di fronte a lei. Sono le sue dita le prima a fermarsi, ancora rifugiate in bocca così da farla sembrare una bimba còlta a succhiare un lecca-lecca.

Le prendi la mano. La sua bocca è finalmente libera e lei sembra svegliarsi come da un torpore. Quella mano l’avvicini alla tua bocca questa volta, mentre lei un po’ sgrana gli occhi, e poi sorride, ti lascia guidare con dovizia ogni dito fino in fondo alla tua gola. Il lavorio ti prostra il cuore, che dall’inguine come un’onda senti ora battere più forte. Lei si aggrappa a te come se naufragasse, dimentica di tutto ciò che prima la teneva in vita. Lei ti lascia fare.

O almeno questo è ciò che immagini e vorresti, ma lei si alza. Si muove lentamente e si allontana, mentre tu ancora credi di avere le sue dita in bocca. Lei ha finalmente terminato la sua attesa. Lui è arrivato, è finito il suo supplizio senza tregua.

E gli ultimi tuoi pensieri corrono veloci alla sua mano, mentre le scivola al fianco, alla sua bocca che non è mai stata tua.





(A Giulia)