Alla me
Non chiederti perché la notte cambia le regole del gioco,
quando ti porta in strada
e ti lascia come ruota giù in discesa,
quando le tue gambe
incontrollate
già da tempo più non hanno direzione.
Non chiederti perché non sai mai darti le risposte
ai cambiamenti che la luna ti rivolge
mutandoti la pelle
tra la consuetudine usuale e l’immorale ed impulsiva bimba anfibia che ti nuota nelle vene,
tra la gente,
chiamandoti animale.
Non chiederti del senso né del suo ripensamento,
ché la follia dell’equilibrio
esasperandoti,
poi dopo,
a fine gioco,
ti conduce a frastornarti inevitabilmente con il tempo.
E non illuderti neanche
di nascondere a te stessa
l’incapacità dei tuoi rifiuti e la docilità con cui gli cedi,
né ostinarti a contrastare
l’immancabile irruenza
che ti impone ad uno strappo delle calze oppure al fischio dello spacco,
troppo alto,
all’apparenza lacerato proprio dalla stessa tua forbice di gambe.
Lo sai,
tu non puoi scordare,
tu non puoi negare,
quella pelliccia d’inquietudine
che ti ricopre il cuore mandandolo a dormire
nel letargo di una mente che non regge la precarietà delle tue cose.
Tu non puoi reagire
a quell’esplosione che ti doma
di delirio
e che naturalmente ti appartiene
ed è dimora
della voce stessa del Padrone.
Tu non puoi cambiare la tua immagine riflessa,
quella vera,
quella che ti dà il nome.