28 marzo 2006

Alla me


di Lindner




Non chiederti perché la notte cambia le regole del gioco,

quando ti porta in strada

e ti lascia come ruota giù in discesa,

quando le tue gambe

incontrollate

già da tempo più non hanno direzione.


Non chiederti perché non sai mai darti le risposte

ai cambiamenti che la luna ti rivolge

mutandoti la pelle

tra la consuetudine usuale e l’immorale ed impulsiva bimba anfibia che ti nuota nelle vene,

tra la gente,

chiamandoti animale.


Non chiederti del senso né del suo ripensamento,

ché la follia dell’equilibrio

esasperandoti,

poi dopo,

a fine gioco,

ti conduce a frastornarti inevitabilmente con il tempo.


E non illuderti neanche

di nascondere a te stessa

l’incapacità dei tuoi rifiuti e la docilità con cui gli cedi,

né ostinarti a contrastare

l’immancabile irruenza

che ti impone ad uno strappo delle calze oppure al fischio dello spacco,

troppo alto,

all’apparenza lacerato proprio dalla stessa tua forbice di gambe.


Lo sai,

tu non puoi scordare,

tu non puoi negare,

quella pelliccia d’inquietudine

che ti ricopre il cuore mandandolo a dormire

nel letargo di una mente che non regge la precarietà delle tue cose.


Tu non puoi reagire

a quell’esplosione che ti doma

di delirio

e che naturalmente ti appartiene

ed è dimora

della voce stessa del Padrone.


Tu non puoi cambiare la tua immagine riflessa,

quella vera,

quella che ti dà il nome.