14 maggio 2006

Rendersi conto



Quando ad indurre una scelta non è solo una smania fisica, ma un bisogno autentico e viscerale, si è vulnerabili a vista. Il desiderio è tale che trova sfogo in impeti di energia e ci si sente euforici. Il corpo tradisce anche quello che le parole non dicono.

Si è predisposti a superare un limite. Si è più disponibili, più aperti.

È il momento per osarsi e scoprire, se e dove si può arrivare, svelando parti di sé ancora nascoste.

La mente, quando le difese restano basse, suggerisce il punto cui si vorrebbe giungere. E se innegabilmente è vero che la realtà deluda spesso il sogno, poiché nell’immaginario la mente spazia libera senza alcun controllo, a volte un desiderio sembra abbastanza raggiungibile da implicare un mutamento, una presa di coscienza.

L’esaltazione al rischio fa trovare il coraggio della scelta, contrasta la paura ed l’incertezza.

Se poi il contesto è favorevole, e si ha la fortuna di imparare dalla persona giusta, Il Maestro, il tempo e la pratica rafforzano la predisposizione naturale dell’animo, la volontà di andare più in profondità.

Perché non lo si deve dimenticare, il sapersi è tutto.


Penso a questo, mentre K. siede con il busto eretto, incapace di muoversi e mangiare il suo antipasto; mentre Michael mi spinge ad osservarla per studiarne le reazioni, mi conduce dalla sua stessa parte.

Vuole una condivisione che mi ampli la mente, che mi si dilati il quadro che ho di fronte: K. non è come le altre, non è una presenza a comparsa, non é un giochetto goliardico. K. é ben altro.

Nel guardarla io rivedo me stessa.

L’eleganza del locale le impone una condotta che sa di non poter mantenere, così lei freme. Ride senza motivo, piano, perdendo il controllo per l’eccitazione e per l’imbarazzo del silenzio.

Una corda sottile le lega le dita. Le sue mani sono piccole preghiere, costrette e ripiegate nel grembo.

Pochi ed abili nodi bastano, è inerme.

Per mangiare dovrebbe chinarsi sul piatto ed usare la lingua: quale adorabile cagnolina sarebbe…, sotto gli occhi del Padrone.

Lo sguardo allibito del cameriere tuttavia suggerisce d’imboccarla. K. spalanca la bocca, e inevitabilmente si sporca.

È una bambina pasticciona e maliziosa: rivoli d’olio le scivolano dalle labbra, le lucidano il mento.

Lei non parla, non si muove, fissa Michael come un bambola. È rossa in viso e lascia fare. Neanche le mie mani fossero una brezza a frugarle sotto la gonna, K. ha l’abbandono negli occhi.

Per lei è un momento importante, sta imparando qualcosa: ogni giorno sceglie fino a che punto quel gioco sarà parte della sua vita.

Ed io non lo nego, da questo pensiero mi sento sopraffare. Vorrei allontanarmi e piangere, eppure non riesco.

Sto imparando anch’io qualcosa, a condividermi come mai mi sono concessa prima: K. farà parte della mia vita, nel modo e nel tempo che Lui vorrà. K. non è un giocattolino transitorio, me ne accorgo ogni giorno guardandomi allo specchio, guardandomi intorno. Guardando Lui.

Ma quanto mi è difficile comprenderlo davvero, solo il tempo potrà dirmelo.

Io e K. siamo due sorelle, due schiave, per un unico altare a frapporsi tra noi. Michael.


Eppure K. ci separa, alleggerisce le ansie dell’amore ed al contempo le rafforza.

La potenza annichilente di questa prospettiva mi spacca il cuore e mi strugge. Ci sono momenti che penso di impazzire. E K., credo, ha il mio stesso sentire.

O forse no? Non è sufficientemente consapevole? Si rende conto dell’immenso potere che riconosciamo al medesimo Uomo?

Non sono sicura che ne abbia coscienza, ma mi ha chiesto di starle vicino.

Ed io mai come in questo momento sento il bisogno di parlare con lei, ma so che ci vorrà tempo. Sì tempo. La pazienza, ho imparato, è un culto.

È che mi stordisce la facilità con cui ho preso questa via, non mi capacito del tutto: quindi…, c’è molto di me che ancora non conosco.

Ma Michael è qui.

Il Padrone c’è.

Lo conferma ogni momento.

Mi sorregge mentre lo seguo, mi recupera ogni volta che mi perdo.

Infinite volte ho pensato ad un rapporto con un’altra slave, nel senso di conviverci, condividendo tutto, formando… una famiglia?

Ma…, ogni volta che ci penso, non mi riesco a immaginare.

Adesso, anche se ancora il come non mi è chiaro, questa eventualità mi sembra una possibilità.

Lui ha fatto in modo che io mi ci trovassi di fronte, ed io ho fatto in modo di seguirlo trovandomici avanti.

Ogni cosa mi appare come un nuovo inizio, un ricominciare da capo: nuove regole, nuove sensazioni.

Sento l’abisso e l’attrazione indefinibile che già ben conosco. E so che non dovrei, quello che Lui vuole è quello che io voglio. Ma vado acquisendo una consapevolezza che mi fa tremare, mi dà il tormento.

Se da una parte tocco il cielo per questo riconoscimento, dall’altra – non so – sono confusa, temo la caduta. La sua autorità così pura e vigile, semplicemente la Sua, assoluta, mi conduce verso una vita che non credevo mi potesse appartenere.

La sento torbida questa direzione, eppure inconsciamente suprema. Mi dà l’ebbrezza.

Lo amo. Lo adoro al di sopra di chiunque altro, sarei pronta a negarmi molto, senza ogni volta chiedermi quale ne sarebbe il prezzo, e lo riconosco, ho una fiducia disarmante in Lui: ma ora mi lacera un dubbio, sono davvero disposta fino a questo punto? Lo sono? Lo voglio sul serio?

Me lo domando, e il senso di colpa mi toglie il respiro, provo una fragilità che mi spaventa. Ho il terrore di non essere all’altezza. Di deluderlo.

Il Padrone per noi c’è, ci ascolta e ci capisce, ognuna a suo modo, ci colpisce o ci abbraccia, affinché possiamo crescere o piangere. Tranquillamente, quando serve.





(A Michael e a K.)