29 novembre 2005

Il ROSSO Fremente degli Aceri




- potesse allora, essere oggi -



Il rosso fremente degli aceri si sarebbe staccato ramo a ramo, da lì a qualche giorno.

Sarebbe piovuto acquerellando il viottolo.

Io l’avrei osservato dalla finestra, ripiegata sulle ginocchia, in attesa del tè.

Ne avrei ammirato il volteggiare, con ogni piccola foglia che librava in aria.

Vagheggiato il tremito per la carezza di ogni refolo.

Mentre di fronte a me avrei continuato ad avere Michael ed il profilo di K. nel suo sguardo.



La sensazione a trasportarci, in fondo condivisa, sarebbe stata diversa. Eppure proprio la stessa.

Ma, solo più tardi me ne sarei resa conto.



La discesa silenziosa di ogni foglia a terra e la rincorsa dei suoi occhi dalla fronte al collo di K. sarebbero state armonie, esatte corrispondenze.

La grazia di ogni fogliolina nella caduta e lo scivolo del suo sguardo di piuma avrebbero avuto la medesima toccante consistenza.

Così sarebbe stato, sotto la pioggia delle innumerevoli foglie.

Così anche nel momento in cui il vento le avrebbe raccolte e sollevate dal suolo, fornendogli ali nuove come di farfalle in cielo.

Così identica sarebbe stata la sensazione.

Il volo degli occhi di Michael, dalla fossetta sul mento alla nera nuca di K., si sarebbe delineato nel dettaglio insieme con la foglia.

Sarebbe stato un riflesso perfetto di specchio.

Ed io, che nulla avrei perso di quella danza aerea, avrei immaginato l’estendersi insistente dell’aria su ogni lobo arricciato della foglia.

Fino ad aprirla.

Con l’impeto proprio del vento quando cerca spazio.

Invola.

E poi riporta a terra.

Allo stesso modo, io avrei percepito lo sguardo di Michael ghermire la pelle di K..

Dietro il collo, per placarla nei gesti se avesse versato del tè.

Per ricondurla seduta, nuovamente al suo fianco, inginocchiata sul tatami.



Per la vicinanza di Michael e per il filare lento degli eventi, avrei fuso l’impulso suggestivo della foglia con la traiettoria istintiva dei suoi occhi.

Anzi mi sarei spinta a ben definite congetture, di cui però avrei preso coscienza solo in seguito.

Avrei isolato l’attimo nel ricordo, in prospettiva di un latente turbamento.

Impalpabile.

Come il ROSSO fremente degli aceri.






(A Michael, a K. e a me stessa)