16 novembre 2006

Le "altre"


di John Dietrich



Sono scomparse.

Le trafitture che mi ferivano il ventre ora sono scomparse.

Non so se sono più tranquilla o se invece sono solo più stanca, forse un po’ tutte e due le cose, credo, ora che riesco a stare seduta su una sedia, a scrivere, senza la solita, fitta acuta, l’unica conseguenza oggettiva dei giorni passati a parlare e a parlare, con le “altre”, ininterrottamente, fino a non udire più il suono della mia voce, se non impazzita per le parole che mi morivano nel petto.

Le trafitture sono scomparse. Sono passati molti giorni, lo so con certezza perché ogni giorno contavo le fitte a una a una, finché sono cessate all’improvviso, come il pianto caldo delle Tue “bambine” asciugato sul mio volto, delirante, sfociato dopo che sei partito senza considerare la cosa dal mio punto di vista.

A quel tempo. Quattro mesi fa circa. Claudia aveva saputo dove mi ero trasferita, tornando a casa la trovai sconvolta e in lacrime davanti al portone, seduta sui gradini, il viso affondato fra le mani. Non riuscivo abituarmi a quelle scene, il mio cuore colpiva freddo e asettico, sempre, per ascoltare senza interrompere, quando invece avrei dovuto esacerbare il mio dolore. Affilare la lingua sui denti come la lama di un coltello. Ma non potevo farci niente, rimanevo in silenzio e mantenevo la calma, davanti a quei singhiozzi che affluivano tra le braccia e impedivano di sentire la fine delle frasi.

“Perché se ne è andato?” Claudia acutizzava la voce in un rantolo che sembrava non dovesse finire mai. Mi dava la nausea, ma restavo immersa nel mia plausibilità dolente, “lo sai perché!” le dicevo, convinta, ma senza muovermi, senza farmi vedere in faccia, con la mente vuota, incapace di contenere quello mi ricadeva addosso. Non sapevo cos’era. Come potevo chiamarlo quell’abisso che mi guardava dal basso con così tanta insistenza?

“Vieni saliamo. Ci coccoliamo un po’, parliamo, beviamo qualcosa”, Claudia mi seguiva sempre, e anche Irene, e Sonia, e la piccola Marta, persino Barbara mi chiese di vederci un pomeriggio e Laura, con Laura passammo ore e ore al telefono a incastrare impossibili tesi avveniristiche per poter scampare il dramma, la Tua assenza, ma sapevamo già che non avremmo trovato alternative, solamente Emanuela sparì improvvisamente nel nulla. Scusami. Ma non ce la facevo, non ce la facevo proprio a preoccuparmi per lei. Non ce la facevo.

Tutto quello che volevo era starmene da sola, era stordirmi e rinchiudermi lontano da tutti per addolcire il mio dolore, per ritrovare Te in esso, ma ero costretta ad allontanare le lacrime dagli occhi per non farmi vedere, le Tue “cucciole” avevano bisogno di aiuto, di Te, e non sai cosa ho visto nei loro occhi, la sofferenza sottratta alle mie viscere, perché mi facevo pena in quei momenti, davanti a quei volti rossi, ho odiato le Tue “piccole”, tutte, provavo una sensazione simile allo schifo. E, non ho ancora capito perché, dopo, finivo sempre in preda al rimorso.

Perdonami.

Risultò poi che Emanuela aveva preferito tornare per qualche tempo al suo paese, e di noi tutte era stata forse la più saggia, la più equilibrata. Alla fine era semplicemente “un’amica”. Poteva starci.

Sono scomparse.

Le trafitture che mi ferivano il ventre ora sono scomparse.

Mi rendo conto di tutto, non stavo bene, mi abbracciavo e mi baciavo da sola davanti allo specchio, volevo provare a piangere, sinceramente, con tutta la calma che mi avrebbe scoperta diversa, ma esaminavo invece la mia espressione riflessa, mi guardavo e mi riguardavo di continuo con ironia e sarcasmo, immaginando il sapore del sangue in bocca pressavo il dolore per ficcarmelo dentro. Capisci? Non avevo previsto di dover nascondere l’angoscia e essere presagio favorevole e convincente da far sentire, non a me, alle “altre”, il Tuo sollievo.

Le Tue amiche, le ex, slaves e moglie.

Ma,

ora sono scomparse. Le trafitture sono scomparse.

Ora il gelo ha reso le mie articolazioni sensibili, ho come la sensazione che le mie ossa possano spezzarsi, tremo e mi sento come un cappotto troppo vistoso, di strass troppo cangianti, incapace di scaldare il mio sguardo, condannato a trovare sempre la stessa dedica “a Te” in fondo ai risvolti segnati sui polsi, negli occhi bassi di ogni donna che è stata Tua e su di me ha riversato vulnerabile la sua emozione.

Ma,

ora sono scomparse. Le trafitture sono scomparse.

Non so se sono più tranquilla o se invece sono solo più stanca, forse un po’ tutte e due le cose, credo, ora che riesco a stare seduta su una sedia, a scrivere, senza la solita, fitta acuta, l’unica conseguenza oggettiva dei giorni passati a parlare e a parlare, con le “altre”, ininterrottamente, fino a non udire più il suono della mia voce, se non impazzita per le parole che mi morivano nel petto.

Ma smetterò. Smetterò. Te lo prometto.

Scusa.