Campo DI Grano
Tutto a un tratto mi accorsi che ero rimasta a fissare oltre il vetro della finestra.
La pioggia d’alta montagna batteva senza sosta la superficie della ringhiera, e tutto il patio era un lungo, incredibile fiume di foglie galleggianti. Davanti dibattevano robusti fusti di granturco, lottatori sotto l’acqua a precipizio, agitando convulsamente in aria le foglie guainanti, furiose, pretendenti. Le radici del granturco emergevano tese come catene.
Giunchi in verde e in giallo ed enormi pannocchie erano sporgenti sul campo assediato e ora ondeggiavano violentemente da una parte all’altra. Salvo il pagliericcio che avevano intorno, non mostravano alcuna protezione. Una rabbia prorompente aizzava ogni cosa. Come una banshee che fosse venuta ad annunciare un’imminente sofferenza, lamentava un funereo vento alpino, sussurrando ai miei pensieri un doloroso sibilo, simile al frusciare irreversibile d’una ghigliottina liberata.
Il campo all’orizzonte era penetrato per intero da lunghe canne che puntavano verso l’alto.
C’erano soltanto pochissime frementi infiorescenze di spighe uguali a quelle con le quali io ero stata toccata.
I lampi fendevano gli occhi e chiamavano al seguito schioccando a fior di nervi gli impazienti tuoni fedeli. Grappoli di fulmini sparsi s’irradiavano con estrema potenza sui monti, lì dove il loro invito alla terra striava in aria lunghe crepe, simili a capillari accesi ramificati a spandere sangue. I boati, urlanti nella forte attrazione delle cariche opposte, parevano sgomenti alla vista delle rotture che andavano spaccando i cieli. Ma dirompente la pioggia li confondeva del tutto, cadendo intensa sul campo senza concedere fiato. La pioggia precipitava, e colpiva a cascata ogni fessura a vista della terra sottomessa, inerme e bagnata a dovere. E mentre s’impregnava il suolo, una virile forza si svegliava e si ergeva nell’eco di quell’impeto fragoroso. Instancabili si gonfiavano i nembi ai veementi scrosci amplificando il flusso continuo della corrente. Le verghe del grano solcavano e aravano e infierivano la propria terra amata, e insieme al vento vi piegavano contro col corpo ritto del dominio, quello stesso corpo proteso che la terra dal basso anela da sempre…
Dal cottage di legno dove stavo a guardare, infine potei vedere il capo del granturco che si rizzava in modo fiero al cielo rischiarato, e ai suoi piedi il campo che s’illanguidiva coltivato nel riposo. Durante gli interminabili rovesci in cui il diluvio aveva dissodato la terra, le devote zolle, sferzate e incise, si erano segnate di diffusi rigagnoli, ma adesso, acquietando pian piano il temporale, traboccavano intatte fra i solchi dei colpi precisi.
(A Michael)