24 novembre 2006

Tradirti



Ho mentito. Ho abbellito. La mia rabbia non è stata abbastanza profonda, non è stata abbastanza infiammata. Ho travisato, ho nascosto. Ma non avrò pace finché non riavrò una discesa altrettanto cupa in una sensualità immaginifica, estatica, esaltata.

Ho dovuto, prima dell’ultimo incontro, ieri, dire a C.: “tutto quel che posso dire, è che sono pazza di Lui, l’ultima volta è così lontana eppure così vicina, non mi importa quanto dovrò aspettare, se aspetterò inutilmente, se l’avrò per un’ora sola o per sempre, non mi importa, oltre Lui tutto il resto scompare; mi tormenta vederti, non ci riesco, tutto questo è irreale, perché sai… questo non è rinunciare a te ma è non rinunciare a Lui”.

Ho smascherato l’inganno. Ho taciuto il bisogno. Il tempo è scivolato via come in un incubo e il quadro è diventato più chiaro. Mi è costato dire quello che provavo, le parole mi sembravano estranee, ma dovevo essere leale. Per Te. Per me. Per lui.

Ho adorato C. per la sua intelligenza, i suoi preparativi per il volo, insieme, le sue gambe intorno a me come una morsa, la sacralità radicata del suo piegarmi a sé, la sua saggia tolleranza, il senso d’allegria, la liberalità oscena, il risveglio possessivo e insaziabile di un dolore da godere appieno. Ma ho ottenebrato la mente. Ho gabbato. Ho insinuato. Ho deformato ai miei occhi la realtà. Per paura.

Di comprendere e di afferrare.

Ascoltami, non posso. Pericolosamente, tremendamente, eccessivamente, ognuno di noi è consapevole che è il Tuo potere su di me a vincolare tutti e tre in questo legame.

Ho provato. Non può funzionare. Ho chiesto a C. di lasciarmi andare, lo ha fatto, mi ha sorriso, sostenendomi anche mentre mi allontanavo.

Sono tornata a casa e mi sono gettata sul divano, non riuscivo a respirare. In risposta alla mia preghiera ti ho incontrato dentro un sogno, il primo, che da allora riesco a ricordare.

E ora vacillo, abbacinata dall’intensità delle ore che non passano. Non posso farne a meno, penso solo alla voracità delle Tue mani, alla Tua energia, alla Tua scoperta di me, che trovavi bellissima, e allo scorrere del dolore, al parossismo della gioia, e ore e ore di coito ininterrotto. Gli abissi che desideravo tanto, le tenebre e la voltura del nulla in oltre, l’assoluzione di inimmaginate colpe. Il fondo del mio essere toccato da un corpo dominante, inondante il mio, insinuante, dentro di me con una potenza disarmante. Non posso farne a meno, sento gridare ancora: “dimmi, dimmi quello che senti” e io non potevo. Ora che urlerei invece.

Ho il sangue traboccante agli occhi, alla testa. Le parole arrivano sommerse dall’angoscia. Ho voglia gridare, selvaggiamente, senza parole, disarticolata dal più profondo e primitivo buio del mio essere, voglio parole che mi sgorghino dal ventre come il miele improduttivo che perdo e Tu non cogli.

Lacerami e lasciami svuotata, Ti dono me stessa, e non può esserci altro oltre questo dare, senza parole, conquistata, zittita. Condotta in un’oscurità sempre maggiore, dentro un mistero, un coinvolgimento sempre più oscuro.




( A M.)