Mari
L’ho trovata incredibile, sorrideva a profusione, soprattutto mentre ti era tra le braccia. Qualcuno diceva che si era addormentata ma crederlo sarebbe stato un errore, nonostante tenesse gli occhi chiusi Mari era lì per Te, Michael. Stupenda, nell’abito di seta rosa.
Era vigile, ponderata, istintiva, totalmente maschile, una bambina in abito da cerimonia che reagiva nell’unico modo che sapeva. Ha eseguito con emozione profonda ogni disposizione che le è stata diretta, scegliendo di volta in volta le parole più adatte alle conversazioni.
Quando l’ho vista baciare l’anello del nostro sigillo ho trattenuto il respiro, ha tirato la catena che ho dentro.
L’hai afferrata per i fianchi, attirandola, «vieni qui» le hai detto e Mari si è protesa in avanti senza la minima resistenza. Ti ha aperto il colletto della camicia e sebbene non potessi vederla ho comunque sentito tutto: ha baciato
Non ho voluto dare un nome a quello che provavo. Magnifica e intensa sensazione senza nome, ho prolungato solamente un po’ lo sguardo e lo so, non avrei dovuto.
Il sentimento che ho imparato a riconoscere da tempo si è impossessato del mio corpo, un sentimento che non è né amore né dolore ma in ciò è affine. Una scarica di adrenalina sopraffatta da echi di dolcezza. Dopamina. Un veleno che intensifica il contatto inebriando.
Il legame che K. percepiva chiudersi attorno a sé nel mio stesso modo, ne sono certa.
Non ci sono parole adeguate per ciò che proviamo, ogni segnale è rivelatore di più di quanto si possa spiegare.
Ho osservato Mari scivolarti davanti nel momento che hai lasciato andare la presa, abbastanza di colpo da farla trasalire prima di riprenderla, stringendola ancora, scaldandola con
La carpivi e anch’io mi sentivo brandire. Quando l’ho vista scivolarti giù dalle gambe, fiutando il Tuo odore, allontanandosi per abbassare la lampo quasi non conoscesse che quella pratica, la stessa con cui ti chiedeva «posso, ora?», con un movimento abile ho estratto il Tuo sesso maneggiandolo al brusio degli invitati.
Ho guardato lei, si dondolava nel piacere, sorrideva, e l’onda d’urto dell’eccitazione mi ha colpita in pieno. Mari con una smorfia mi ha ghermita. Mi è salita in petto.
C’è stato qualcosa in lei, nel suo porsi diverso dal mio, a causare quell’emozione. Ho capito che era una dispensatrice di piacere, ho colto l’abitudine nel modo in cui si inginocchiava. Era avvezza a quegli aromi caldi più che a qualsiasi altra cosa.
Mi è piaciuta Mari, per la facilità con cui si è appagata. Mi ha infiammata l’intensità dolorosa dei rumori della sua bocca mentre il volto le si arrossava.
Le hai consegnato la pelle turgida sfregandole il viso finché il candore non è diventato a chiazze, quando ho avvertito il freddo del metallo cozzare contro i suoi denti,
Ho toccato terra con le mani e con le ginocchia anche se in realtà restavo sospesa. Ero abbattuta con la carne dei glutei sui talloni e le carezze giungevano comunque, piene di tensione e colme di senso, l’arrendevolezza di Mari era lascivia.
La smania mi ha dimenata come in preda a una febbre violenta, ma non ho chiesto niente anche se avrei voluto. Non ne avevo il permesso e lo sapevo.
Sono impazzita dentro.
(A Michael e Mari, aprile 2007)