03 novembre 2006

Porto Santo Stefano


di Pascal Abadie


Parecchi bicchieri dopo, sul molo che aspettava gli ospiti, in quella serata effervescente il cui unico merito era aver tenuto occupata la mia mente, una giovane donna mi propose di lasciar perdere lo yacht e di seguirla. Avevamo festeggiato la chiusura di un collare ed ero quindi stanca, stanca di quell’atmosfera che mal si adattava alla Tua assenza. Con uno sguardo carico di significato le ho fatto cenno di accettare, ringraziandola anticipatamente con un sorriso.

Avvertii C., come dovevo, e mi avviai con la nuova amica lungo la banchina, in direzione dell’imbarcazione del suo Signore e Padrone. Pensavo però ostinatamente a Te, Michael, le considerazioni e le riflessioni battevano sempre sullo stesso chiodo. Mi mancavi.

Ti sarebbe piaciuto essere lì con noi. Ti sarebbe piaciuto legarmi e prostrarmi nell’attesa, sventrandomi del furore che da giorni mi rendeva folle. E cosa più importante, sapevo che ti sarebbe piaciuto stringermi con le sartie ad uno di quegli alberi maestri, tralicci avvolti nella brezza della notte, una notte già nel morso dell’inverno; una notte, tuttavia, ancora troppo tersa e stellata per essere così lontana da Te.

Pochi passi lungo il molo e arrivammo a un grande scafo bianco, ricordo che portava il nome di Aphrodite. Il ponteggio, di legno, cigolava sotto i nostri tacchi, luccicava fantasmagorico sotto la luce della luna. All’interno, l’arredamento era a dir poco lussuoso, di un’eleganza pari a quella novella slave che continuava ad osservarmi. Giulia, chissà se l’avevi conosciuta, mi sono chiesta.

La ronda del suo sguardo, per tutta la serata, e le parole gentili che aveva avuto la preoccupazione di rivolgermi notando il mio stato d’animo, furono alla base della fermezza e del senso di protezione che percepii poi, quando il suo braccio mi allacciò in vita e la sua voce mi chiese di accompagnarla in cambusa. Potremmo mettere un po’ di musica, Giulia mi disse con premura.

Decidemmo all’unisono, volevamo “Love devotion surrender”.

E fu allora che si sciolse ogni residua remora, afferrando saldamente Giulia per i fianchi, la voltai stringendomela contro. Eravamo noi, non c’era nessun altro, almeno finché non vidi Elisa; se ne stava in cima, sulla scala, sembrava in procinto di raggiungerci.

Elisa, quale meravigliosa amica era stata, dacché ero nell’abisso della solitudine più nera Elisa c’era sempre stata. Quella notte vedendomi allontanare sul molo, si era preoccupata e mi era venuta dietro.

Non appena la vidi, le feci cenno di capire che poteva unirsi a noi, se voleva. Allungai una mano nello spazio che ci separava, lanciando un’occhiata verso Giulia. Era tranquilla ed Elisa chiaramente non si fece pregare. Sorridendo di rimando si insinuò tra noi, con la grazia che le è sempre stata propria scivolò abbracciandosi ai nostri corpi. Affondavamo l’una nell’altra immedesimando una danza. La musica, d’altronde, c’era.

Avvicinai il mio viso a quello di Elisa e feci scorrere la lingua nell’incavo del collo. Elisa si tese all’indietro e mi facilitò il compito di slacciarle il corsetto. Era così palpitante, desiderabile, ma nonostante tutto mi ostinavo a pensare ad altro. Pensavo a Te.

Non sentivo un reale desiderio, giocavo. Percepivo il fascino del gioco e tremavo. Ed Elisa? Mi chiedevo.

Aveva uno sguardo alcolico, tenera e sensuale, cedevole, sentivo davvero il bisogno di abbandonarmi a lei e smettere di tormentarmi. Volevo darmi pace, almeno, l’illusione che non stessi ancora sopravvivendo.

Soggiogata dalla grazia della sua stessa rivale, Giulia, mi è sembrava sorpresa di perdersi in quel trio di baci. Le bocche assetate si moltiplicavano, si confondevano i respiri. Le mani scoprivano i corpi facendo scivolare i vestiti sopra l’assito di mogano. La cabina sembrava inebriarsi dei nostri profumi, l’odore muschiato del mare si univa a quello della nostra passione. Intorno avevano preso a suonare le note oscure di “We are going wrong”. Ci ripensai poi, e a quel punto scesero le tenebre.

I nostri corpi si erano abbandonati, si riversavano sui divanetti bianchi, pelle su pelle, le mani cercavano di placare le mute suppliche della carne. E fu lì, non ho saputo dirmi perché, ma ebbi paura.

Ebbi paura, perché Ti rividi di fronte a me. Non riuscii a evitarmelo, ero tornata a sentire quella dolce fiammella che l’orgoglio altre volte mi aveva regalato. Sapevo che quella notte non avrei deluso le Tue aspettative se fossi stato lì, e me ne sentivo felice.

La mia gioia però mi spaventava. Tu non eri lì, dopotutto, e non saresti tornato. Ecco perché mi rannicchiai in fuga tra le braccia di Elisa, capivo che lei non mi avrebbe tradita. Elisa non mi resisteva, emetteva piccoli gemiti e farfuglianti lamenti che mi seducevano.

Lasciai così che il bisogno di Te morisse di minuto in minuto. Stentavo a riconoscermi nella slave che ero stata, ma non avevo scelta.

Desiderai che Giulia frugasse la mia bocca, a fondo, vedevo la sua mano risalire le cosce di Elisa e pregai che Elisa, la cui mano danzava dentro di me, nuda e umida, mi trascinasse a velocità vertiginosa dove finalmente potessi isolarmi. Un luogo sotto la pelle, dove solo io potevo accedere.

Appartata dentro quelle carezze, sentivo il mio corpo gridare una preghiera. Imploravo Elisa.

Elisa che alla fine fu il bersaglio prescelto della mia e della lingua di Giulia.

E Tu, in quel momento, Tu non c’eri più. Ti tenevo a distanza. Altrimenti temevo che la disperazione mi avrebbe urlato contro fino ad uccidermi.

Giulia mi accarezzò mentre il delirio liquefala il suo desiderio. Impetuosamente inarcata, Giulia, si protendeva verso di me, consumandosi, divaricata e persa. Si rovesciava sul seno di Elisa e succhiava e leccava, finché alleviata Giulia mi sorrise, offrendosi al mio corpo e accogliendone le suppliche. Al punto che mi rese capace di dipendere da lei e io preferii negarmi, inconsolabilmente la mia mente tornava a Te.

Quelle forme di donna mi assorbivano ma non mi sfinivano; mi obbligavano, anzi, con insistenza dove Tu non c’eri.

Ero libera eppure legata più che mai.

Lasciai che il piacere si ripercuotesse nei piccoli gemiti di Elisa, sul suo ventre, tra le mie dita avvinghiate ai capelli di Giulia, sulla sua testa china. E la cercai ancora, Elisa, proprio mentre improvvisamente raddrizzava trattenendomi a sé, con tutte le sue forze, accavallando le gambe tra le mie, bisbigliando che mi adorava. E io adoravo lei, Elisa, dolcissima.

Giulia la circondò e la baciò, sempre con maggiore foga, ne precorreva i movimenti tenaci e convulsi. Le labbra assaporarono finché non la sentirono spenta, e poi stretta, quando ci trascinammo sui piccoli letti di prua, abbacinate da noi stesse, abbracciate. Mi sentivo avvoltolata in quel piacere, snidata dall’oblio e tuffata, sopraffatta, tra quelle braccia amiche. Lasciai che il tormento trovasse momentaneamente pace, mi illusi di poter restare lontano da Te. Almeno lì, sul Mediterraneo, mentre affluivano sonore le onde di “I've got so much to give”.