23 giugno 2006

Il Dolore del Silenzio




“E adesso cominciamo”, a sentirlo così due piedi, il tono gelido della Sua voce mi disorientò profondamente. Riconoscevo l’intensità di quello sguardo, praticamente mi paralizzava.

Improvvisamente mi sentivo sola e fredda, come se fossi appena uscita dall’acqua. C’era solo umidità e disagio, non c’era niente con cui coprirmi, niente oltre un telo leggero e troppo corto. Ero nuda davanti ai Suoi occhi, ma d’una nudità che nulla aveva a che vedere con il togliersi i vestiti, con Lui io non potevo nascondermi.

“Sarà meglio che tu mi stia ad ascoltare adesso, voglio che serri forte i muscoli.

Subito!

All’istante!

Più forte che puoi, contrai l’addome!” Non me lo feci ripetere due volte, aveva le labbra così serrate che pensai non avrebbe aspettato. Strinsi, e strinsi più forte che potevo, il calore mi sopraffece, poi un pugno mi colpì alla bocca dello stomaco. Non ebbi nemmeno il tempo di stupirmi, crollai sul pavimento, intontita, come se la botta fosse stata in testa.

Non riuscivo a respirare. Lui torreggiava su di me. C’era un nodo a chiudermi la gola, sentivo il sangue affluirmi al volto. Soffocavo.

Non riuscivo ancora a capire se provavo terrore o se il desiderio morboso mi avrebbe fatto perdere i sensi, ma di una cosa ero certa, da Lui non sarei fuggita.

Mi percuoteva con un piede, mi interrogava, poi lasciava che seguisse un rigido silenzio, e poi di nuovo mi premeva con la suola contro il muro.

“Ti è piaciuto vero? Avanti dimmelo! Dimmi che ne vuoi ancora”, il Suo tono era così cupo che mi sentivo naufragare.

Il sudore mi bagnava la fronte, io ansimavo, restavo piegata con la faccia al pavimento, mentre sentivo il sangue scendermi in bocca.

Mi girava la testa, non riuscivo muovermi. Poi la Sua voce cambiò improvvisamente, “piccola… su alzati”, Lui mi dava l’impressione che si preoccupasse per me.

Ma mi sbagliavo, Lui tornò a braccarmi. “Rispondimi! Ti è piaciuto vero?”

Si sfilò la cinghia, e nel momento in cui m’accorsi, trovai la forza per guardarlo non so come. Cercavo di tenermi a galla. Spingevo verso il pelo dell’acqua.

Ma io sprofondai, la vidi, nel Suo sguardo c’era un’onda, un’onda gigantesca per un istante immobile sopra la mia testa, un’onda che incombeva come una minaccia.

I Suoi occhi mi parvero bianchi, vuoti, una violenza senza controllo spiccava dal Suo volto, io in mezzo all’oceano, ero solo carne viva e sanguinante per lo squalo, riconoscevo l’immensità terrorizzante mentre affogavo. Una paura risucchiante, come un buco nero, mi privò della memoria. C’era solo freddo che mi congelava.

Lui mi tirò per un braccio, e un flutto mi strattonò senza darmi tempo, annullandomi in una fitta che dal torace si fece febbre. Lui mi spintonava, emettendo gemiti acuti, mi sovrastava tuonandomi contro, “alzati! ragazzina, alzati!

La Sua rabbia mi imprigionava furibonda, ero trattenuta sottacqua, Lui mi rovesciava.

Avanti dimmelo! Dimmi che vuoi che lo faccia ancora.

Io non mi muovevo, Lui mi sollevò da terra tenendomi per i capelli, ed io immaginai l’onda che mi trascinava a largo, annaspavo senza fiato, finché una roccia spuntò dall’acqua ed io tentai di avvicinarla.

Io tentai di fare no con la testa e la mia disperazione incontrò la Sua.

Lui mi si inginocchiò di fronte, carezzandomi il ventre, dove la mia mano manteneva la presa, e il calore fu lancinante, fu come se mi desse la vita.

“Oh, piccola…, ti ho fatto così male?” mi confortava, quasi paternale, mi dimostrava la capacità perversa di modulare la Sua voce, come sempre, all’improvviso da bestiale a dolce. Lui mi confondeva.

Ed io di nuovo mi feci forza, nuotavo a grandi bracciate, oltre il dolore, con ogni mezzo tentavo ma non riuscivo a parlare. Lui aveva suggellato dentro di me la mia voce.

Avrei voluto rispondergli, ma ero costretta a non poterlo soddisfare, il dolore del silenzio mi divenne intenso, mi attanagliava dentro più di quanto il male mi avvinghiasse il ventre. Avevo la sensazione di scoppiare.

Mi sentivo nuda e immobilizzata, ma poco a poco ricominciai a prendere fiato, e mi accorsi che piangevo.

“Capisco”, Lui disse a un certo punto, “questo per te è troppo”, il mare sembrava inquietamente placido.

“Resta tranquilla, starai subito meglio. Respira piano.

Magari un’altra volta, eh?” La Sua voce, il mio traguardo, la stavo perdendo. Lui si allontanava.

No!” gridai, con tutto il fiato che riuscii a trovare, senza pensare, con il volto contratto dal dolore.

Lo vidi, sorrise, e lo sguardo gli s’oscurò d’oblio.

Il mio panico l’eccitò più d’ogni cosa. Mi si riversò addosso, con una forza d’urto smisurata.

Non c’era nulla che potevo rifiutargli, solo lasciarmi assorbire. Il senso della perdita pretendeva contatto, non voleva alcuna spiegazione per colmarsi.

Lui mi portò giù, giù, finché la paura si cancellò del tutto e rimasero solo le sue mani a scorrermi attorno, strappandomi di grida, attirandomi sotto, finché la sofferenza non mi sradicò dal fondo ed io riemersi frenetica, capovolta dal piacere ritornando in superficie, con la punta dei piedi, in un flusso e riflusso ricominciando a scendere. Io rientravo in acqua, sceglievo le profondità del Suo lato oscuro.

Mi sentivo cullare.



Mi risvegliai sdraiata sotto il Suo braccio, mentre delicatamente Lui mi baciava il ventre. Continuava a seguire la traccia d’una macchia scura sulla pelle chiazzata e rossa, con le dita compiva piccoli cerchi. Increspature che dilatavano il respiro.

Provai a muovermi, ma non riuscii molto, qualsiasi contrazione mi faceva male. Misi le mani tra i Suoi capelli e l’attirai a me.

“Ti amo", dissi, "da morire”, e assottigliai la voce, Lui mi baciò in modo così dolce che i miei occhi stillarono ancora lacrime.

L’intensità della sensazione a contrasto col dolore mi scioglieva.

Ero satura d’energia, seppure consumata, sentivo il bisogno ancora di toccarlo, sentivo la gioia di ridere, ma solo gli occhi seguitarono a spostarsi. In silenzio, noi sorridevamo finalmente stanchi.




( A Michael)