Duets
Averti a combaciare. Riconoscerti equilibrio al peso del mio corpo, tenerti ad evitare che sbilanci, dolorosamente, nel delirio delle corde. Noi a trattenerci, arrendevoli e coscienti. Leve. Armonie di impulsi. Lungamente l’una all’altra, serrate a chiave. Ritrovarci nella tensione che richiama il movimento. Nelle giunture innaturali che ci snodano informi, per il tempo che ci vuole, a dichiararci, sotto lo sguardo vigile dell’esecutore, inscindibilmente sottomesse, per un piacere masochista che ci lega a mantice. Noi. Io e te, K., mia micosi in espansione all’epidermide.
Nelle sue mani, così, la nostra sorte.
Lui ci spinge alla deriva, ci posiziona agli estremi opposti di una medesima canoa, sopra le profondità nere di un abisso, laddove scivola l’inconscio e l’ebbrezza svincola coscienza. E’ una lezione da imparare. Due corpi al bivio di un volere. Lo stesso. Lui. L’àncora che ci trascina finché non tocca il fondo. Lui sa, noi dobbiamo allontanare il dubbio, sciogliere ogni domanda che deforma il silenzio, lasciare andare ogni rancore dell’orgoglio, ora, senza orientamento. Noi dobbiamo convogliare alla convivenza di uno stesso ruolo, di un piacere condiviso e costrittivo. Ogni azione di superiorità dell’una, sull’altra sarà inutile, imploderà invece a catena, in reazioni uguali e contrarie. Ogni scarica di impazienza, di verità che impone sfogo, ora, da te a me e all’inverso, per capire, percorrerà le bianche corde, ci tenderà, ci stirerà in dolenti mugolii ad invocare, bagnati desideri di una libido già legata e complice.
Lui così ora compie nodi, così ottiene provocazioni.
Così induce. Libero consenso ad imbrigliare linfe vitali. Sottili vene femminili, istinti primordiali. Con una mano lui apre, spinge una palla di gomma rossa fra labbra consenzienti. Acquieta, naturali ed incomprensibili scambi verbali. Un’ostruzione vistosa, umiliante, estremamente divaricante, dove cinghie nere soffocano voci sconsolate dietro la nuca rimostrante, segnano le guance, mentre la lingua preme sconfortata e la saliva, candida, lucente, fila ansiose vie di fuga agli angoli protèsi della bocca. L’urgenza dell’ossigeno pompa improvvisa adrenalina e rompe la paura, in piagnucolii strozzati, sotto gli occhi dilatati dal bisogno. Uno, il respiro.
E il primo nodo è un cappio.
Circonda una corda e sfrega. Striscia, stringe inviolabili accordi. Intorno alle caviglie e alle ginocchia, dove incrociano in direzioni discordanti i piedi, che ci vedono di fronte, sdraiate a terra, gambe spalancate, gli stinchi alle cosce stretti, così completamente unite e avvolte. Noi. In un unico arto. In un legame a renderci siamesi, per ogni esigenza cui fa posto il corpo od il pensiero. Impossibili, le voglie di allungamento. Assediano. Impossibili a valere tra noi, le brame di prevaricazione divampano, incenerendosi. La pelle ci salda, suda, la corda si impregna, si consuma d’umido indimenticabile piacere bondage. Di forzato godimento, di inarrestabile abbandono sotto il controllo prolungato di ogni senso. Il secondo nodo, il movimento.
Impedito e monco.
La corda struscia, inchioda braccia dietro la schiena, sotto la gravità del corpo che ricade addosso, lega articolati polsi in nodi sapienti. Le mani, schiacciate, serrano preghiere a dare precarie basi d’appoggio. Lui sa e in alleanza stringe. Strisciante grosso cavo attraversa il solco, sotto il bacino afferra i polsi stanchi e, in una trazione sola, costruisce il ponte del patibolo. Da te a me, e all’inverso. Ed ancora segue, penetrante, sottile, ruvida, altra corda a bloccare braccia al busto, più su dei gomiti, comprimendo malleabili seni, uno due tre quattro giri a premere ripetutamente sopra e sotto. Ruota la biscia bianca intorno al collo ed ara la vallata della carne al centro, il nodo che restringe e gonfia. I capezzoli, esplosivi. Paiono scoppiare, invitano liberatori morsi. Il corpo gode, del caldo abbraccio che impedisce fuori e libera dentro. Tre, il pensiero.
In volo.
Attimi di paura bagnano sudato pavimento. La corda punge, è di canapa dura, consistente, trancia grandi labbra vellutate, spacca dighe del piacere, esplora e raccoglie gusto. Muove docili morbosi nodi, accomodanti, ciascun pube sfiora l’altro, preme, sollecita movenze violente. Ubriache. La corda tesa non torna indietro, completa il giro, promette imprevedibili attriti, si congiunge trascinante in un legame con i polsi affaticati. Instabili forze gemono, piacere. Scivola la corda tra le gambe, fluttuano i nodosi cedimenti, allagano gli orgasmi. Quarto nodo, il godimento.
Dichiarazione persuasiva e convincente.
E gode lui, sadico, mentre sciamano ossessivi strascichi ad impartire lezioni a cui partecipiamo attivamente. Non passive. Gridano gli sguardi, ansimano, alle spossanti e laceranti estasi, annegano esigenze fino ad annebbiare neri sull’abisso. Scorrono sfiatati fiumi di saliva. Gemono contratti di piacere i grovigli snervati della carne. Formicolano. Novizie e appaganti comunioni d’intenti. Lui sa, far incrociare soddisfatte riflessioni, concedendo gocce in sofferenza alla clessidra. Cinque e sei, il tempo e la consapevolezza.
Ora e a venire.
(A Michael e K.)