- Ore 4.00 - note al margine
di Stefan De Lay
Mi stringo a lui come se intorno a me ci fosse il vuoto, e la sensazione mi penetra in fondo più di quanto possa dire. Con una voce interiore che ora gli è molto più vicina, quasi in un sussurro, “ho fame” dico, mentre una marea calda, incredibilmente leggera, sopra di me, dentro di me, sta sospesa d’estasi assoluta.
Lui, prima d’alzarsi e svanire, mi guarda a lungo dal bordo letto come se non occorressero parole, ed è così, ora lo sento logico.
Quando esce dal bagno, “vestiti!” esorta, senza nessuna esitazione, sicuro che è stato oltrepassato un varco, ed è vero, forse siamo nel paese delle meraviglie: io gli obbedisco, per la prima volta, senza replicare.
Certo la distanza è esasperante e non è detto possa colmarsi, ma non è essenziale che ciò avvenga, non necessariamente: si può restare insieme, comunque, fin dove il fuoco brucia con lo stesso pungolo.
Se c’è una cosa che ho imparato in tutto questo tempo, per quanto ci si possa svuotare, restare senza respiro, per quanto si è incapaci di gestire il troppo e talvolta non rimanga che il veleno da sorbirsi fino all’ultima goccia, sebbene si possa essere convinti di conoscere come andrà a finire, niente può dirlo: se non la vita che si manifesta man mano, senza poterne mai tornare indietro.