22 marzo 2006

Burn-in(g)Silence






Ci sono momenti che s’incantano fissi, affilano punte su dischi in vinile, sono istanti e rintocchi a goccia cinese, un’ossessione sonora, sempre la stessa, una musica a pelle che suona metodica.

Stanotte ti vivo incontrandoti dentro, ti respiro nel buio ascoltando il silenzio.

Lo sai, ti aspetto.

Sento il frusciare degli abiti sparsi, e la poltrona proprio davanti la sento, mentre stira la pelle se muovi le gambe, se ti appoggi di spalle. E ti seguo, se sciamano i passi, fin dove i tuoi piedi sfregano il suolo consumando distanze, avvicinandoti a me o abbandonandomi inerme, in questa notte che riempie la stanza dovunque, che mi indugia e trattiene, mi esplora la mente. Mentre gli occhi sono chiusi e coscienti.

Mentre perlustro indistinte e simboliche note nell’ombra, io distesa sul letto, libera e ferma.

Io cieca, paralizzata dal tempo, ora mi svesto e lo sento che guardi, fino a farmi soltanto nervo che guizza, una spirale di sensi protesi a ridosso, dentro un vuoto che prende e stravolge il mio corpo.

Così mi ritrovo, ritorno più piccola, sospiro d’aria bambina che teme la prova, mi chiudo a postilla su un legame di mente, io mi trattengo da sola per non perderti altrove, mentre la pelle mi cambia stagione, mutando presenza. Io mi formicolo muta, io sono l’ assenza.


L’immobilità è una nemesi scaltra, che mi chiude in un buco di dilatati sensori, è una percezione che s’attorciglia ai rumori, sui pori, mentre il corpo grida d’urgenza bussando al cervello. Finché s’inclina di peso il bordo del letto, così, inevitabile, se addentri un ginocchio o una mano per fare d’appoggio, fin dentro nel cerchio in cui mi isola il tatto.

E così finché cade.

Piuma amabile d’ansia.

Finché cade precisa. Improvvisa. Lasciando una traccia. Un’inesorabile goccia. Una lacrima nera appena che scotta.

Io sussulto e l’istante mi incide. Mi dice ci sono. Io sorrido d’impulso, così dichiaro consenso. E come se fosse il tuo tocco, la goccia conferma: sì, tu sei. Con me, qui adesso.

Così mi costringo, mi spalanco di senso.

Il dolore mi sfiora, è una carezza indicibile. Mi parla d’amore lo sento, è un’incisione sottile ogni goccia di cera, questa pioggia che cola ci fa un’anima sola.

Lo sai, ti aspetto.


Mi sei pura forma di lingua, barlume nel buio. Mi sei fiamma che fonde la pelle alla testa, bruciandomi lieve mi scivoli addosso. Surriscaldi il mio cuore, dei miei battiti sordi fai una voce priva di suono.

Finché mi sciogli alla resa, mi serri i capezzoli in cappucci di cera. Mi chiami, mi coli, prolungando te stesso, in un bagno che cuoce la pelle come a una bambola in posa. Ed io fremo, io fremo di più, il freddo mi affiora. Ho le mani umide e chiuse, sulle lenzuola di seta. Io sudo d’attesa, è il bisogno impaziente che soffia sul collo, e frustrante, ti prega una maggiore discesa.

Ti prega di farmi sentire indifesa.

Nelle tue mani, tra le tue dita animali.

Così resto marionetta davanti a un camino. Mi lascio bruciare, risalire sul ventre. Mi lascio tracciare il sentiero che porta il tuo nome, sotto la fiamma lasciandomi rossa, e ancora una volta, volendomi Tua.

Ed è evidente il mio senso d’allerta, lo mostro, lo noti, il piacere al timore che finalmente mi dice che esisto. Mi esalto di vita, sento il conforto di ogni rintocco che cola.

Il respiro si smorza, è un cavallo che monta la schiena, più volte, d’istinto, e io m’incurvo al calore se punti su un fianco, alla coscia distesa, al tallone improvviso. È un lamento sommesso il mio gemito muto. Se mi suoni costante la stessa nota che torna. Più vicino o lontano, a tormento del tempo.

Se mi castighi gli impulsi che il corpo ribella. E se cedo, dolente, avanzando pretesa.

Se pulso d’attesa dentro una morsa che bagna cattiva.

Il mio sesso ti aspetta, ma tu neghi qualsiasi carezza. Scoprendomi il vuoto, colmandomi a folla.

E così, mi fai carne più pura, mi ghiacci la mente infiammandomi i pori. Ed io sì, cedo, esaltandoti certo, a colare più a fondo, all’inguine caldo ancora ed ancora con una bava di lava. Con un’anguilla che scende e s’insinua, s’addentra e raffredda stringendosi dura.

Fottendomi impropria la carne più viva.





(A Michael)