26 novembre 2006

Oltre le parole



“C…” mormoro, sollevando la cornetta, con un tono di sorpresa, e anche di affetto, l’affetto incredulo e istintivo che provi quando ritrovi qualcuno che con cui si condivide un filo di intimità che resta familiare e non richiede mai troppe spiegazioni. “C… è bello risentirti, non pensavo avresti chiamato così presto… come stai?”

“Bene. Bene piccola. E tu?”

“Anch’io. Un po’ scossa, un po’ tanto”, e scoppio a ridere, “ma va bene. Ho i miei brutti momenti, ma passeranno. Non devi preoccuparti…”

“Non sono preoccupato”, mi interrompe, scartando in anticipo le mie ipotesi, “tu sei una leonessa”, lo dice usando un tono sinceramente leggero.

“Hm…”, stormisco quasi, poco convinta. “E mi chiami per…”, lo chiedo e mi dirigo in cucina come se in realtà volessi evitare l’argomento e la conversazione.

“Sono un bambino fragile e difficile che ha bisogno di essere coccolato e nutrito”, dice e segue un silenzio di un paio di secondi, poi scoppio a ridere, ma lui non mi viene dietro. Il silenzio mi mette ansia. “Hm…”, rifletto fra me e me, “sì”, rispondo, “avevo capito che non potevi farmi da padrone, con certi vuoti di comportamento”, la butto lì, con una voce diversa, un tantino sdegnosa. Intenzionalmente tronfia, perché la faccia finita.

“E secondo te”, dice, “nello stato danneggiato in cui mi hai lasciato non ho un bisogno intenso di essere trattato con benevolenza?”

Cerco di non ridere, che voglio essere sfacciata e seria, ma la tentazione è troppo forte, per tenermi gli rispondo esasperata, “stai cercando di immedesimarti? Dovresti smetterla di cercare di capirmi, è uno sforzo di adattamento che non trova riscontro.”

“Sei la fortuna che accarezza la notte prima di addormentarsi”, dice, con una voce più di rammarico che di compiacimento, ma posso percepire la scioltezza che nasconde dietro il falso sforzo di controllarsi, mentre aggiunge, “mi fai sentire pieno di limiti percettivi, inadeguato da far paura”.

“E poi?”, rincaro.

“Ho quest’aria destabilizzata del cavolo, come se mi avessi fatto chissà cosa”, asserisce, e quasi mi convince che ha bisogno di conforto, per il tono così sentito, magistrale, tra la necessità non espressa di fuggire e la passione sospesa che riesce a ispirare.

“Addirittura”, dico, la reazione subito riassorbita dal timbro della voce, “d’accordo, d’accordo”, rido, “vieni da me, se pensi sia il caso, sono già pronte due teglie di biscotti al cioccolato”. “Ti piacciono i biscotti, sì?”

“Tra mezz’ora sono lì”, dice, e attacca.


Considerata la fragilità in cui l’ho trovato, come no…, ma l’onestà che mi dimostra, la sua amicizia, vera, non ho dubbi, abbiamo trascorso uno splendido e glaciale pomeriggio sulle rive di Bracciano. A passeggiare. A lungo. E sai Michael, ricordi?
È sempre rosso verso sera quando finalmente è autunno.



(A Michael sempre, e a C.)