愛メッセージ
Per mille volte hai cercato i miei occhi e per mille volte li hai trovati. Una specie di danza febbrile alla sola idea di quel Suo capriccio.
Dovevi farlo subito, avvicinarti, bloccarmi la visuale e fare come Lui voleva.
«Mia dolce bambina, dai, contro il muro», e ti ha accompagnata nel punto in cui le mie ginocchia si aprivano, tra una gamba piegata e una distesa, rivelando la soddisfazione di un varco.
Al tono della Sua voce ti sei arresa, «…from Owner», hai mormorato qualcosa, un messaggio da parte del Padrone in un inglese teneramente esitante che strascicavi un po’ sulle vocali. Tenevi lo sguardo fisso, gli occhi incredibilmente accesi, e con una lentezza che già ti conoscevo, donna dal volto di ragazzina, hai fatto sparire una mano sotto il vestito.
Con l’aria affascinata, hai chiuso un poco gli occhi, ruotando fino a mostrare il punto in cui un dito abusava di te.
Piccola donna, profumata di gelso, con una violenza che strappava il suono alle parole continuavi a fissarmi, mentre la tua mano imprigionata scomponeva i tratti del tuo volto come un’ombra.
Non avevo possibilità di raggiungerti, chinarmi sul tuo ventre e posarvi una guancia, come tante altre volte sfiorarti con la punta della lingua. Era incredibile come due o tre passi erano diventati un’incolmabile distanza. Semidistesa sul tatami, potevo al massimo oscillare, tutto intorno era un’esplosione di canapa meravigliosa: corda bianca, onore al nostro Kinbakushi.
Le corde assomigliavano alla nostre vite, trame che erano andate sfrangiandosi attraverso un misto di dolore e dolcezza. Le rifiniture dei nodi avevano la precisione acuta di una cintura di corda che esplorava le viscere, affondavano dove la carne era più tenera e scura, lentamente, metro dopo metro la corda accarezzava come se fosse
Con una gamba vistosamente divaricata, legata a un palo di bambù, e con l’altra ripiegata, esaltavo la forza sensuale di un jetè su un’istantanea. Il mio busto ergeva, dritto, supportato da un secondo bastone, per un hashira ushirodaki fiamma tremante del Suo desiderio. Un ikebana aggraziato che solamente al vento avrebbe decomposto il movimento.
Imparavamo istintivamente il linguaggio di ogni piccolo ideogramma disegnato, parlavamo un idioma silenzioso capace di scardinare una vita.
Solo il fruscio della tensione ondeggiava nell’aria, impenetrabile, più leggero del nulla, finché non ho stormito in un sussurro «non hai nessun messaggio. Sei tu il messaggio».
A portata di sguardo, arrivando sul fondo delle cose, la mia voce bassa e calda cercava la tua.
Hai piegato il capo verso terra e le tue labbra hanno frenato un sorriso.
Avevi l’aria di fare la cosa più bella del mondo, mi contemplavi con una tale convinzione che la realtà appariva turbata. C’è stato un istante sospeso, in cui tutto sarebbe stato possibile ma eri l’unica che potesse varcare lo spazio che ci separava.
Baciandomi, poi hai infranto la barriera. La tua lingua ha toccato la mia. Delicatamente, all'inizio. Poi ti sei fatta largo trascinandoti sul mio corpo, assediavi con un trasporto che permetteva qualunque cosa, mi sentivo fondere. Eri pregna del sapore di Lui, un aroma aspro e stordente che ci teneva incollate, mischiavamo crema e saliva, gemiti e sospiri.
Sei scivolata lungo il mio corpo, sempre più giù, sino al sesso, mi hai aperta. Rovistando tra la corda e ogni fessura hai insinuato la lingua, infilato una mano e lo sapevo che c’era qualcosa che andava al di là dell’aria che ti mancava, lo sapevo, eri improvvisamente sicura. Giocavi con il tuo ventre infilando le dita, bevevi e inghiottivi dalla mia coppa e lo sapevo, al di là del respiro, c’era il tuo cuore impazzito.
Eravamo due donne ma un corpo solo, un unico fluido.
Galleggiavamo sature di piacere quando il godimento si è impadronito di noi. Sono bastati pochi calibrati movimenti perché si inzuppassero le tue mani. Sesso contro sesso, seno contro seno, bocca sulla bocca, un codice istintivo ha liberato ogni freno e inibizione. Siamo state entrambe l’eco della Sua voce.
(A Michael e K., settembre 2007)