Orario di Ricevimento
Sono tornata con la mente sui banchi di scuola. Terza fila, quasi in posizione centrale, proprio davanti alla cattedra.
La grande lavagna nera incute già da sola un certo timore.
Alcuni libri, penne, quaderni sono sparsi in giro e colorano qua e là la piccola aula. Pochissimi studenti. Il quarto d’ora di intervallo ancora non è terminato, del professore non c’è traccia.
E’ presto.
Due ragazze scambiano i compiti della lezione precedente, un gruppetto di amici chiacchiera raccontando le prodezze dell’ultimo capodanno.
L’orario di ricevimento non è ancora iniziato, papà aspetta seduto e io resto davanti a lui, tesa nella posa e nello sguardo.
A questo ho pensato, qualche giorno fa, nei primi minuti del pomeriggio mentre mi avvicinavo a te e mi accoccolavo fra le tue gambe.
Mi sono accucciata, la guancia appoggiata alla tua gamba, il viso rivolto a te.
Il tessuto dei pantaloni mi sfregava leggermente la guancia. Sentivo la tua essenza, il ruvido che incontrava la mia arresa liscia.
A terra, senza sentire freddo, il vestito a maglia mi avvolgeva, si era aperto inginocchiandomi e circondava le mie gambe come una campana.
Così, per un momento ti ho guardato, poi lo sguardo sul tuo sesso. Eri già eccitato. Il tessuto era tirato e mi incantavano le pieghe.
Tu, con una mano hai cominciato a carezzarmi sulla testa, fra i capelli.
Dalla guancia alla bocca, nel palmo aperto hai racchiuso le mie labbra e io, con accortezza, ho iniziato a baciarti la carne fra le dita, un po’ alla volta, finché il pollice non ha preso a giocare con le labbra, attraversando la bocca da una parte all’altra, scorrendo la lingua con dolcezza, scendendomi in gola.
Io, da brava bambina, succhiavo. Lentamente.
Mentre con l’altra mano mi tenevi fermo il collo, e io percepivo tutta la pressione delle dita mentre mi spingevi il mento verso l’alto, il viso e la bocca esposti verso te.
E quando hai voluto, con la mano intera hai cominciato a strusciarmi sulle labbra, a forzarmi appena come a voler rientrare.
Intanto che, la saliva mi colava bianca dalla bocca alla tua gamba e io, di nuovo, ti ho guardato e… “Sì papà... ancòra” ho detto.
La sensazione in tre parole catturata, io, la bimba nella gabbia del tuo sguardo e nell’attesa.
(A Michael)