ELISA
Loro si conoscono da tempo, si plasmano al bisogno, si consumano la pelle e chi li guarda riconosce l’armonia dell’organo alla canna, pensa alla goccia che mai va al di là della misura, non immagina acufeni a ammutolir la mente o screpolature al fondo da far perdere sostanza.
Elisa è lì che prepara l’albero in salotto, tronco duro fermo nell’attesa, addobba e illumina il Natale, il tempo che rimane, scegliendo palle chiare, coccarde in vetro per riflettere i suoi occhi.
Diego versa rhum al bar, riempie ogni bicchiere, il vetro scurisce intensamente come il bronzo dell’estate, il giallo-oro riempie e oscura ogni trasparenza se la trova.
Sceglie sottile Diego, cristallo e vino bianco, sincero al primo sguardo. Diego senza chiederne la voglia, raggiunge lei in salotto e porge il bicchiere bello pieno.
Elisa sa di Diego la cortesia e la non franchezza, il metodo, la guida concreta e scaltra, sa il preparare il legno della cassa alla giusta risonanza.
Ancòra torna Diego e ancòra versa nel bicchiere, colma il vino con del succo nero, ribes, e studia il porgere più o meno certo della mano, cerca in Elisa il suo consenso, se tra loro il gioco è lui che ancòra lo dirige.
Ma il bruno liquido è nota fuori tempo con l’inverno e Elisa non si scalda dentro. Chiunque osservi il gesto crederebbe nella scelta, ma lei soltanto prende il vino e silenziosa cede, lei in offerta all’onda nera della notte mentre scende.
Cede Elisa a Diego che la tiene ferma con lo sguardo, immobile con gli occhi persi e la testa nel liquore. Lei davanti a lui senza dire una parola, ha il braccio teso a raccogliere l’invito, eppure è incerta dentro, in bilico tra il taglio della vena d’ombra a cui appartiene e uno sguardo altrove mentre volta.
Elisa è la caduta stessa della goccia dal bicchiere mentre un’amica sa di lei comunque in trasparenza.
(A Elisa e Diego)