Continuavo a sentire
Continuavo a sentire con brevi pause i loro lamenti.
K. protendeva in avanti, stretta da quelle grosse mani sembrava spezzarsi. Sentivo rimbombare l’eco del sangue che mi pulsava nel cervello, le luci guizzavano come bagliori, davano un’impressione terribilmente sensuale.
La spossatezza mi schiacciava, sotto il peso di un altro corpo non riuscivo più a sostenere le braccia. A poco a poco precipitavo, sempre più indolente, come se mi disfacessi.
Pregavo che l’alito caldo del Maestro Doi mi prendesse in mezzo alle gambe, ma si incanalava e rimaneva fermo, a ristorarsi con i piccoli ruscelletti che il lavoro operoso dei membri aveva ammonticchiato.
I corpi odorosi erano pregni di una forza latente. Rina, inginocchiata, è stata riportata indietro, rivoltata come un fazzoletto e pesantemente trascinata su un letto. Incapace di contemplare l’andirivieni di ciascuno, attraverso la seta rigida che ne avvolgeva gli occhi, Rina restituiva il languore dal respiro sollevando cupamente il petto. Si crogiolava nell’incertezza dell’uomo che gettava l’amo nel suo involucro gemente, mantenendo tuttavia il suo sguardo muto e altrove e chino, destinato all’uomo che nel frattempo rifluiva a temporale con parole d’ordine.
Avvolta in gioiose aspirazioni, in un altro angolo di quella famigliarità, come il tuono ammansito pronto a trasformarsi, mentre per via di ogni uscio i Signori si tuffavano nel mio piccolo negozio, io ardevo di un fuoco rovente che teneva in esercizio gli arti legati. I corpi che apparivano al di sopra delle mie membra sembrava si ingigantissero. Come un animale selvatico sempre a disposizione mi facevo piccola, mi appiattivo, implacabile di struggermi all’evidenza del Tuo sguardo.
Ero vagabonda di desiderio quando mi hai afferrata levandomi le braccia in alto, pressoché allo stesso istante, lasciando che mi si trafiggesse con un’amabile bene la cui parvenza non mi hai autorizzata a identificare. Assicurata con i polsi al giusto gancio ho quindi visto il corpo invaso di K., di spalle, sconvolto, sconfinare dalla cornice di uno specchio mentre inseguiva l’allontanarsi del punteruolo che le spariva dentro. E l’ho ammirata, più tardi, ancora, riposta sopra un fianco, mentre veniva approssimata da un degno successore. Taro, che prodigatosi a mo’ di selvaggina foraggiava di fresco e con dovizia quel bestiale delirio.
Il ragazzo, stanco infatti di pavoneggiarsi accanto a K., si era spinto alla questua, chiedendo che nel suo tenero paesaggio si imprimesse ancora e a piacimento un’incisione profonda.
I suoi occhi diventarono insolenti e impassibili, colpo su colpo, la sua carne si piegò al ritmo tempestoso del torace in ressa del suo culo. Ed è stato allora, all’ombra fugace del dolore che ne ha solcato la fronte che mi ha invertita la dolcezza, e di quell’improbabile agguato ho recato dono goccia a goccia alla Tua valenza. Mentre mi colpivi a segno. Mentre mi scaraventavi al limite della follia, in alternanza ai greggi accaniti che radunavi per darmi pausa: - gustatevela – invitavi, a nutrimento del mio pascolo posteriore.
Mani, lingue e intimi armenti mi hanno pasciuta con i loro liquidi.
Il piacere non è mai diminuito di potenza, senza risoluzione ho continuato a tramutare in sensibilità smaniosa ovunque mi si toccasse, non sono mai rimasta immune dall’essere plasmata.
Feconda, desideravo essere soltanto il capriccio della Tua natura.
(A Michael e ai legàmi, maggio 2007)