31 gennaio 2007

Bastarda


Sono una cagna bastarda.

Parlo e parlo tanto, scrivo, abbaio con la presunzione di un pedigree da podio. Alliscio i miei “padroni” come alliscio il pelo quando è ora, quando qualcosa prude e dà fastidio, quando voglio ancora carne fresca. Senza vergogna, senza pudore, all’inverosimile, dimentica di tutto, recito la parte che da me si aspettano.

Con le orecchie basse e con la coda ripiegata struscio il muso e lecco, il loro sesso, come una brava cagnolina gli obbedisco. Con accondiscendenza. Brutalmente.

Fingo.

Invento.

Con una convinzione che l’ammetto, mi fomenta, persuade anche me stessa, che non c’è parvenza. Che non c’è menzogna. Inganno.

Trasmetto ogni tensione e ogni trasporto purché si mostri senso. Ma tutto mi è metafora e ricerca, meretrice amenità di un fallimento. Fallimento di chi mi si avvicina da “padrone”, senza esserlo!

Sono la superbia della mia ingordigia e della mia indole flessibile.

Incito il dolore e mi “concedo”, spaventata come una cagna bastonata e bisognosa.

Recito la bimba sprovveduta e impreparata. La novizia.

La donna abbandonata e mesta.

La puttana…

La compagna conquistata.

O me stessa. Capita…

Estorco rabbia e poi durezza che condanna, il disprezzo, attiro sofferenza… ma niente mi colpisce, inutilmente tutto resta indifferente come un giornale scosso a stento.

Vanto un orgoglio a cui ritorno fiduciosa. Ogni volta, ogni striscia di carne avuta e rossa, ogni livido voluto e viola, ogni parola che mi è stata “data” da un “signore” seppure mi ha implicata non mi ha mai toccata nell’Essenza.

Mi ha segnata, ma di un rito sottosotto artificiale per una falsa “appartenenza”.

Sono una cagna bastarda. Sfacciata e iniqua.

Blasfema del mio stesso Credo.

Mi dispero ad ogni delusione di proposito, intenzionalmente. Convinco chi mi si avvicina per capire. Per avere. Convinco.

Ricevo tempo e carezze. Il dolore che desidero. L’Amore non previsto.

Ma, “a cuccia cagna!”, nessuno ha mai osato dirlo in tempo. Con persuasione.

“Possibile?”, mi chiedo.

Nessuno mi è mai entrato dentro, tanto… da restarci a lungo.

Gioco infame e perverso, voglio che ogni falso “dio” si ritrovi in ginocchio. Senza pietà, senza mite sentimento.

Sono una cagna bastarda che sa dove cercare le sue ossa, che sa come goderne in consistenza.

Sono una cagna che annusa il prato o il pavimento, ma ha come unico bisogno quello di riavere la bellezza di un dolore Dedicato, non presuntuoso, personalissimo, la purezza di un dolore che prescinde dai “signori” troppo tronfi, troppo affrettati, troppo affamati, troppo affermati, che nel voler “usare” senza conoscermi vengono immancabilmente “usati”.

Sono una cagna in ginocchio ma con l’unico bisogno di soggiogare un uomo, un “dio”, seppur per poco, con l’unico bisogno di dare a Lui il mio piacere. A Lui. Il mio dolore. A Lui, Michael.

Mio solo marchio.

Tanto da violarmi la coscienza, l’integrità e lo stesso fondamento che a Lui mi lega. Prostituendomi e tradendo.

Chiunque altro.



(A Michael)