Di PIATTI, STRACCI e non solo
L'immagine è di Dannen Harris
Devo dirtelo, cucinare per te è una tortura di cui intendo pagare il prezzo.
Sai che odio essere donna di pentole e fornelli, schiava del grembiule e dei guanti da cucina. Ma questo è gioco a grembo scoperto, è rito su tacchi a stiletto, con me che mostro il culo ogni volta che controllo il pesce in cottura nel forno, o agito le tette a vista, docili a seguire il movimento, mentre rimesto sul fuoco una crema di scampi o salto in padella le verdurine piccanti.
Hai mai pensato quanto mi eccito in cucina? Quanto mi piace farmi guardare mentre quasi a carponi mi piego sul lavello, mentre sono intenta a lavare attentamente i piatti?
Attentamente? Sì! Al che l’acqua mi bagni, mi schizzi sul ventre, ovunque, sui capezzoli rigidi al freddo, sulle cosce mie nude, fin dentro.
E’ vero, poi, però lo straccio, il secchio?
Ma che importa? Se così mi piego, fino a stendermi a terra, per asciugare il pavimento. Se così mentre frenetica m’abbasso e passo lo straccio, e m’impegno – sai? –, che importa se così ti mostro che non è solo acqua quella che mi tiene lucida e aperta al tuo sguardo.
E’ che lavorare in cucina mi scalda, con tutti quei vapori e quei profumi che danno alla testa, è un nido in cui sfamare la voglia, e perché no magari con qualcosa a portata di mano.
Hai idea di quanto feroce prenda la smania allo stomaco? Di quello che mi passa per la testa mentre apparecchio la tavola, fra piatti e bicchieri, posate e brocca dell’acqua, mentre il vino lo lascio forse per dopo che già così sono fuori controllo. Ne hai idea? Non senti una spezia speciale miscelarsi nell’aria? Non lo senti questo odore di donna che aspetta?
Prendimi sulla tovaglia fra i cocci se capita o fra i resti del pasto se già al limite mi hai tenuta in attesa, prendimi sull’acquaio mentre la schiuma mi tiene bloccate le mani fra la bacinella e una teglia, prendimi, afferrami e basta, e tappami pure la bocca se tentassi d’osare protesta. Prendimi, e consuma davvero fino all’ultima briciola questa cena che t’offro. Prendimi, saziati e saziami, così che io non senta più i morsi del vuoto affamarmi le viscere, né la voglia ridurmi a pensieri di sete.
Prendimi, tienimi ferma. Prendimi e bloccami mentre ripongo gli ultimi avanzi nel frigo, di spalle stringimi forte contro la cella aperta del freezer, così che del freddo senta il calore poi sciogliermi sotto come un cubetto di ghiaccio che ci passiamo di bocca.
Prendimi, ti supplico, prendimi, e obbligami ancora a preparare per te domani la cena.
(A Michael)