19 novembre 2006

- Ore 24.00 -


Seguo il pavimento fino al muro, dall’incavo dietro le ginocchia alla curva delle natiche sto diventando calda. Fingo che tutto sia a posto, mi sto trattenendo, lo sguardo fisso nel suo. Non mi stupisco, sono febbricitante ma assente.

Da un punto lontanissimo lo schiocco del disappunto converge i nodi della rabbia per essere lì, incomprensibilmente, con lui, C., e non con Te, e li trasforma in battiti nervosi che mi umiliano al nulla: questo vuoto, questo dolore, questo tipo di estasi.

Mi appoggio al muro, non lo do a vedere ma incrocio le gambe a trattenerti in un angolo del cervello perché il senso di perdita è incolmabile. Lui ride.

Mi piace la sua sicurezza, non recita una parte, non serve e lo sa, sa che con me non funzionerebbe. Non è questo che depista la mia angoscia, nel petto e tra le cosce. Lo guardo,“questa è una faccenda tra me e te, è chiaro?”, C. non si lascia andare un fiato, ma sento la sua voce vibrare nella stanza, sento quello che pensa.

Siamo d’accordo: devo tenerti fuori, è giusto, o non avrebbe senso. Ci provo, mi chiudo ma non riesco: Alice è implacabile nell’inseguimento.

“Cazzo!” dico, un sussurro a voce troppo alta, lui aggrotta la fronte, improvvisamente serio. Mi ci vogliono un paio di minuti per capire che mi sono chinata a terra senza che nemmeno lui me lo abbia chiesto.

“L’ho fatto eccome!” mi racconto, la mia condizione mi fa sentire meno sola.

È perfettamente conscio lui, mentre mi accoccolo sul pavimento freddo e in qualche modo mi avvicino, guancia a terra, disanimata, mentre gli mordo il laccio di una scarpa, strofinando il muso, con cautela, ma mai esitante.

“Alzati”, la cortesia della sua voce mi insulta, indirettamente, mi prende a schiaffi, mi umilia più profondamente del tremore che mi stanca le ginocchia, mi solca la schiena, mi apre il culo. Sento una stanchezza interiore, profonda ed estesa, ma non mi muovo.

“Alzati, non fartelo ripetere”, ancora quel tono condiscendente e misurato.

Mi alzo, sfacciata gli sorrido.

Mi sento emergere da una piscina d’acqua gelida. Mi rendo conto, sto cercando di farmi male: colpire ossessionatamente attutisce la mia sofferenza. È una promessa di dolore con cui scelgo di convivere, finché il dolore non sarà compiuto, avrà ucciso tutto, il senso di abbandono è una muffa sotto la pelle, intossica, brucia la carne, ed è peggio, molto peggio, mentre guardo lui ne sono sicura. Il dolore mi rende insensibile a tal punto da essere incapace di sentire altro.

“Sai che il mio corpo sente l’esigenza di essere invaso, per sgravare il peso dell’angoscia e per schivarla”, la mia voce esce come un grido trattenuto, il dolore si abbandona in rabbia e la rabbia prende il sopravvento mio malgrado. “Fammi male!” lo travolgo, e tuttavia so già che mi risponderà con la caparbietà del suo silenzio.

Non so per quanto tempo resto lì, davanti a lui, immobile, ma ho tutto il tempo per sfinirmi e per stancarmi di essere sfinita.

Fisso i miei vestiti sulla sedia, ripiegati e in ordine, sull’unica sedia di quell’esigua camera d’albergo.

“Per favore” la sua voce è come una carezza, amabile, e mi irrita, la dolcezza è un’ombra insopportabile alle mie orecchie, mi disarma e mi defila dalla collera senza che possa essergliene grata. Mi costringe a scivolare semiaperta verso un’indolente resistenza. E mi chiedo: cos’è che mi piega, dentro e fuori, nella sua voce? Cosa?

Penso passiva. Cedo alla lentezza.

In tutto quel tempo che lui impiega, resto imprigionata in quella rete, dolce e moderata, generosa, sfibrante, che lui lentissimamente mi va tessendo addosso.

Un brivido mi scuote, le lenzuola come latte scorrono a terra. Il mio corpo comincia a sanguinare di muta sofferenza: la sua bocca è lì, mi sussurra al ventre. Preme. Desiderosa. Innegabilmente. Le sue mani sfiorano, mi abbracciano, mi invitano all’amore ripetuto come se il mondo dovesse finire il giorno dopo.

“Che stai facendo?” la mia domanda suona brusca, allento quella corda che sottilmente lui sta tirando per entrambi, ben imbottita di bambagia, intenzionalmente, ammutinando il mio equilibrio teso. Lui mi tiene tra le braccia come una musica, posso sentirla, il suono del mio respiro vicino al suo cuore che batte. Lui mi sta dando amore. Non lo sopporto!

La stanza si oscura a ogni tocco, lui dà un’altra angolazione alla mia prospettiva che già cicatrizza. Mi coglie di sorpresa, e mi fa più male. Capisco.

Mi fa l’amore non mi usa.

Mi confonde di proposito, idealmente filtra attraverso la pelle e tocca tutti gli accessi e i punti delicati e stretti. A ritroso, cerca, dove sono spezzata dentro. Ecco, lì.

“Falla finita!” sbotto, “scopami se devi, fa quello per cui siamo qui ma non soffocarmi con le tue attenzioni”, la mia voce s’abbassa radente e oscura.

Lui sorride, sa toccarmi il fondo, “è questo che ti chiedo”, mi dice, di modo che la voce superi appena il rumore del respiro, “se non vuoi vai pure, non sei obbligata”. Le sue parole sono controllate e dolci, e non è per diffidenza ma il significato che hanno al solo pensiero mi spaventa, una fitta di paura e di consapevolezza, c’è una verità che nessuno dei due ignora. Io però continuo a rifiutarla: uno spazio immenso mi si apre, il dolore scorre in vena senza interruzione.

Fa male, decidere fino a che punto, lasciare che il nuovo ago entri in vena.

Rimango ed è chiaro che è un modo per ferirmi, che non avverrà alle mie condizioni, che se non mi sentissi legare sarebbe più facile aprire la porta per non tornare.

“Vieni qui”, dice, e si limita a guardarmi negli occhi, con un’espressione seria, concentrata. Il rischio circonda improvvisamente in nero le pareti della stanza. La mia ultima possibilità di reagire a quel punto la ricaccio indietro, volontariamente, senza prendere fiato, mi avvicino a lui e fa malissimo. Lui mi stringe con un’onestà che mi paralizza, in un modo che è peggio, molto peggio, dolcemente, mi fa montare sopra di lui e mi entra dentro. La sola certezza di sentirlo, senza fretta, artiglia la mia angoscia e l’accresce con l’incomprensibile potenza di un tornado, il dolore mi straripa come un incubo, in un implacabile inseguimento, irrealizzabile, invasivo come il vuoto che Tu, Michael, hai lasciato indietro, un dolore che esplode brutale fino a diventare immenso, opprimente, non lasciando altro che un deserto senz’acqua e senza vita. C. mi stringe, non mi scopa, mi fa l’amore e per questo mi raggiunge: laddove sei Tu, io non ho difese.

Incollato a me, C. mi bacia senza tregua, sulla bocca, sulle guance, sulla fronte, medicale e chirurgico, intaglia come un bisturi e tira fuori la mia sofferenza. La solleva. C. trasforma il mio dolore in canto. Non tiene per sé l’involucro, ma il frutto: dopo l’orgasmo, le lacrime sul volto, l’abbandono finalmente del mio corpo, il tremore che mi mostra in ginocchio.





9 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Leggo ogni frase con una lentezza esasperante. Sono brani intensissimi, c'è tutta te stessa...e sei bellissima. Vorrei essere capace come te, almeno in parte, di vivermi in totale coscienza e consapevolezza, senza finzioni e inganni. Questa è la tua forza, sai viverti precisamente per quello che sei, e non ti perderai mai. Baci.

3:14 PM  
Anonymous Anonimo said...

le tue parole che scavano dentro, così vere, così intense, così dolorose.
permetti a me, che non so niente, di spendere poche parole per C.
Deve essere difficile, per lui, molto difficile e deve essere un uomo speciale, uno di quei pochi che sa.
Una volta di più mi sento di affermare che M. ti ha offerto un ultimo dono, prezioso.
Sei una donna forte, Valentina, come pochissime.
Riuscirai a superare il Vuoto, anche se penso che adesso tu non voglia farlo, non del tutto, perchè questo Vuoto ancora ti rende Sua. Ti lega, dandoti puro dolore.
Un abbraccio
D

3:39 PM  
Anonymous Anonimo said...

hai compiuto un passo avanti, dolorosissimo ma importante, e lo sai. sono con te dolce Vale, sono con te.
rosemary

10:29 PM  
Blogger SchiavaD'Amore said...

io ci provo Nadia, a vivermi. e non sempre ci riesco come sembra, mi capita di fuggire nel nulla alla ricerca di incontri senza domani, e sono i momenti in cui mi perdo davvero e non riesco a vivermi. ma ci provo. da sempre.

lo penso anch'io D., Michael mi ha lasciato molto, una parte di sé, prima di lasciarmi andare... e C. ha sempre saputo che non sarebbe stato facile, non poteva essere altrimenti, ma stiamo facendo un buon lavoro, lo sento. ci scegliamo giornalmente e giornalmente viene deciso come continuare il "viaggio".
ma non è il Vuoto ha legarmi ancora. il legame c'è e basta, dentro di me, e non è scindibile. non è sostituibile. è composto da un'interminabile catena di giorni, giorni passati, giorni che pesano e contengono tutto. non mi resta che aggiungere gli altri che verranno, che stare a vedere come proseguiranno gli anelli, quali altri legami saranno stretti.

sì, mi hai vista quella mattina Rose... e sai che tremavo forte. tremavo... grazie di esserci amica mia.

un abbraccio a voi, v.

7:05 AM  
Anonymous Anonimo said...

Tesoro.....che dire? Come sempre le Tue emozioni sono le mie, vissute altrettanto intensamente, anche se non in situazioni simili.
Sono entrata in questo tuo post in punta di piedi, abbeverandomi del dolore tuo e mio e rivivendolo come fosse ora.
Pero' ora sono tanto contenta, tesoro,tantissimo....perche'sento che uno spiraglio di Luce si sta aprendo per Te....non sarà ancora il Faro che era Michel....ma mi sembra che questa candela anziche' consumarsi si sta ingrandendo giorno per giorno, da ambo le parti.
C. ha un grandissimo merito, secondo me....sa stupirti...perche' sta dimostrando di sapere sempre esattamente cio' che ti serve, nell'attimo in cui ti serve, credo perfino al di la' di cio' che tu pensi ti possa servire in quel momento.
E questo è importante.
Ti abbraccio stretta stretta
zaira

11:57 AM  
Anonymous Anonimo said...

Lui sorride, sa toccarmi il fondo, “è questo che ti chiedo”, mi dice, di modo che la voce superi appena il rumore del respiro, “se non vuoi vai pure, non sei obbligata"

Sperimentato di prima persona, più attuata come cose che ricevuta. Credo che a volte porre le persone innanzi a un'inaspettata libertà di scelta che fa sì che le loro azioni non dipendano più da nessun'altro che da loro stessi generi una sorta di...paura, infinita paura insicurezza.
Non so se è il tuo caso, forse no, forse sì, rischia di essere un discorso che esula dal significato profondo del post, ma è quello che stavolta ho colto.

A volta si finisce per vivere a clicè, a divenire il clicè di se stessi e aspettarsi che chi abbiamo di fronte sia a sua volta un clicè.
Quando al posto del luogo comune della normale reazione subentra la consapevolezza che tutto dipende da noi, abbiamo la perdita di ogni appiglio razionale.
O l'inizio di una nuova coscenza

Con le mie scuse, se ho esulato dal post

Federico

2:25 PM  
Blogger SchiavaD'Amore said...

Zaira, tesoro, a volte non è necessario dirsi molto, basta sentire che l'altro c'è... e non so dire cosa mi aspetti domani, non faccio progetti, non ho un'aspettativa cui confidare, forse ora più che mai mi vivo di volta in volta, così come viene.
C. mi sa capire, mi dà molto, moltissimo, più di quanto mi attenda in realtà e in questo sì mi stupisce, ma sai ne ho paura... anche.
non vorrei mai sentirmi legata a lui per riconoscenza e per gratitudine..., non sarebbe bello, non sarebbe giusto, per lui e per me. non avrebbe forza e, ecco, io spero che questo non me lo permetta mai. mai.
capisci?


Fede, nulla esula dal viaggio che fanno i pensieri quando ci si confronta.
Ora, la libera scelta induce paura, è vero, a volte sì. Può far prendere decisioni affrettate, condizionate dalle circostanze, ma può anche dare la forza di riconoscere ciò che davvero conta e si vuole. La paura davanti alla scelta ultima può quindi scomparire e niente sembrare più importante di ciò che si sta vivendo in quell'istante.
e ciò che ho sentito quella notte è stata la consapevolezza, un argine che rompeva, a far defluire la mia sofferenza.

6:59 PM  
Anonymous Anonimo said...

Ma Michael ha appeso le corde al chiodo? O ritorna nelle prossime puntate? Qui senza Michael manca tensione emotiva, stiamo scivolando ... però sei brava a descrivere, anche perchè mediamente le slave non rivelano molto. Tu sei quasi un libro aperto ... o insomma ci provi.

7:08 PM  
Blogger SchiavaD'Amore said...

sì, dolcezza..., ci provo.
e mi chiedo cosa provi a fare tu, intendi dirmelo?

7:33 PM  

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