Nero
Un giorno come un altro, niente che lasciasse presagire, Lui, Michael, mi stava aspettando. Comodamente seduto su una poltrona in salotto, la camicia appena sbottonata e lo sguardo attento.
C. era in disparte, in piedi, in mano un bicchiere di vino. L’ho guardato bene, l’ho osservato. Non ero sicura di conoscerlo. Non lo conoscevo.
C. mi scrutava, aggrottava la fronte, mostrava qualche anno in più di Lui. Appena entrata in quella sala mi ha seguita con lo sguardo e non mi ha mai più lasciata, mi ha sorriso con un’eleganza che non potevo negargli: era indubbiamente sicuro di sé. La sua espressione era curiosa, audace, la sua mano era decisa a stringere la mia, calda, per nulla tesa. I capelli brizzolati che ricadevano sugli occhi gli conferivano un volto altero e interessante.
Mi sono preoccupata non appena l’ho visto.
Sono andata verso Michael, aprendo e lasciando cadere sulle spalle il leggero negligé che indossavo, così come sapevo che Lui voleva da me, fiera di lasciar intravedere la carne appena brunita dal sole, ho avanzato verso di Lui piantandomi fissa davanti alla poltrona dove sedeva, ho aperto le gambe e istintivamente ho congiunto le mani dietro la schiena.
C. si è avvicinato, l’ho sentito dietro di me, mi esaminava. Lentamente, con un gesto che mi ricordava un’iniziazione, mi ha fatto scivolare ulteriormente le spalline della veste sulle braccia e poi sui polsi, mentre con l’altra mano mi è salito lungo la schiena dal basso verso l’alto, insinuandosi ovunque tra i capelli, delicatamente, ma senza lasciar mai trapelare alcun dubbio sulla sua posizione dominante.
Quando è arrivato al collo, ha premuto le dita tanto forte da togliermi il fiato. Ho chiuso gli occhi, non ho potuto evitarlo, mi sono persa in quel momento nonostante fossi davanti a Lui, perché l’ho sentito, Lui cedeva a un altro il Suo possesso. Il Suo stesso controllo. Me.
C. però ha smesso di stringere prima che me ne rendessi veramente conto. Michael teneva gli occhi fissi nei miei e io mi sono persa un’altra volta in quei Suoi occhi così intensi, mi sono inginocchiata, quella confusione dentro di me si stava facendo buio a mia insaputa. E sul fondo c’era una me stessa che non si sarebbe più potuta riconoscere. Ho appoggiato il capo contro la Sua coscia e ho aspettato.
Ho aspettato che Lui parlasse, ma Michael non è mai stato di tante parole, ho capito che mi incitava a conoscere ogni cosa prima di tutto dentro me stessa.
E così è stato, mentre C. slacciava la cintura dai suoi pantaloni lasciando che quella striscia di cuoio attraversasse lentamente tutti i passanti, uno a uno, lentamente, appositamente perché voleva la sentissi. Che comprendessi. Prima che Michael con un’occhiata mi sollecitasse ad alzarmi ed io obbedissi.
Mi sono ritrovata in piedi tra le gambe del mio Padrone, in mezzo alla sala, nel mio ricercato déshabillé, tremando esageratamente.
Poi uno sguardo furtivo mi ha consentito di notare Lui e C. mentre si davano a intendere, da cui: “muoviti piccola”, mi ha incoraggiato Lui piegandomi intimamente.
“Bella”, ho udito, C. mi studiava, i suoi occhi mi frugavano con l’intenzione esplicita di mettermi a disagio.
“E’ tua ora. Fanne quello che vuoi.”
Così. Lo ha dichiarato apertamente, Lui, il mio Lui, Michael, il mio Michael, spingendomi premurosamente verso l’altro. Io davvero non ho voluto capire, non ho inteso bene mi sono detta, sono rimasta piantata davanti a Lui, io non mi sono mossa.
Allora C. è venuto verso di me, mi ha accarezzato con molta dolcezza e mi ha fatto i suoi sinceri complimenti, li ha rivolti a Lui: “è perfetta”, ha detto, “mi piace”. “Ci intenderemo, imparerà a conoscermi.”
Michael ha ricambiato l’apprezzamento con un sorriso, era orgoglioso, lo sentivo.
Poi è seguito un insignificante enorme tumulto di cui sono stata oggetto: Michael mi ha lasciata andare, ha lasciato andare il mio corpo, le Sue mani dai miei fianchi, dalla mia pelle, dal mio cuore scoperto. Io ho toccato l’altro uomo senza sapere davvero di farlo, eppure sentivo le sue braccia, la sua lingua nella mia bocca. Sono rimasta zitta mentre le sue mani mi cercavano, a un certo punto sono stata convinta di cadere e non è stato certo per i troppi centimetri di tacco. Io non ce la facevo.
C. mi ha sostenuto, mi ha avvinghiato, ha alternato le sue mani alla sua bocca, le sue dita hanno afferrato i miei seni ma io non ho sentito niente.
C. è diventato più insistente, io ho tremato al contatto del suo petto contro cui mi teneva ferma. Quando ha trovato la fessura tra le mie gambe, sotto il tessuto messo fuori posto, tra le mie labbra, ho voltato verso Michael con uno spasmo che ha mostrato tutto il mio disorientamento.
Ho sentito il Suo sguardo su di me, mi concedeva ad altri, ho sentito la Sua approvazione quando la mia lingua ha incontrato quella di C. Era già accaduto altre volte dopotutto, mi sono calmata, ho pensato questa volta non sarà diversa dalle altre. Ma questa è stata diversa. L’unica.
L’ultima.
Lo sentivo. Lo sapevo.
Poi ho chiuso gli occhi e ho cercato di non pensare a nulla, Lui, Michael, il mio Michael, si è girato e ha lasciato me in quella stanza alla brama di un altro. Come una vera schiava, io ho scelto di accettare per compiacere la Sua decisione.
Ho rivolto il mio viso verso C. e questa volta l’ho baciato davvero.
C. da allora mi ha. Gli appartengo. Sento la sua volontà in merito. La sua determinazione. Eppure vorrei che non fosse mai successo. Ma C. ne è certo, sarò sua come non sono mai stata di nessuno…
E il tempo è passato.
Mi sono ritrovata sopraffatta da una nausea improvvisa.
Subito, o forse molto dopo, non so bene, ho visto la realtà spalancarsi su di me come un enorme buco nero. Tanta durezza non la conoscevo.
Ci sono voluti giorni. Molti giorni. Con le lacrime agli occhi. Per capire.
“…”
Quando la voragine cessa di attirarmi, il collo prende a farmi male, in particolare in fondo alla gola, dove mi sento contratta e riarsa. Il dolore mi lascia senza saliva. Io non riesco più a guardare la mia immagine riflessa.
“Ti ho adorato come si adora un Dio. Non è mai stato un gioco. C’era un progetto. Grande… Ed ora è finita. Finita... È troppo dura. Io non ce la faccio.”
Mai e poi mai per tutti questi lunghi anni ho immaginato di trovarmi ceduta a un altro. Ma ora non c’è che questo. È così. Mi hai data via.
Ci penso. Tocco il fondo, per la prima volta sento davvero cos’è il vuoto, il nulla più nero.
Mi sento stanca. Di me stessa. A pezzi. Indegna.
Eppure rimango con C.. Ho scelto di restare. Mantengo la parola.
L’ho fatto per Te all’inizio, per compiacerti, non ho ritenuto possibile che altro non ci sarebbe stato. Ma non ho più avuto Tue notizie. Non mi hai mai più voluta.
Non ho più sentito la Tua voce. Il Tuo sesso non è più stato dentro di me.
Non ho mai più avuto nessuna spiegazione se non che questo era il Tuo ultimo volere.
L’angoscia. L’angoscia dentro lancinante. L’angoscia di averti perso, di aver perso tutto. Anche la fiducia. In me. Nella mia capacità di valutare gli eventi e le persone. Considerarmi solo un sesso, una bocca, disponibili, addestrati, perfetti. Ma non abbastanza. Per appartenerti. Quindi, il niente.
Il vuoto.
Il pianto. Appena sola, il dolore e il pianto. La pena dell’abbandono. La solitudine e il peso di un bisogno troppo grande.
E il tempo passa.
Ora C. mi usa. Ne ha il permesso. Ne ha il diritto. Perché?
Io sono sua…
1 Comments:
pesante, nero, appunto.
ma così reale da farmi pensare spesso durante la lettura che fosse solo uno scherzo. una rilettura della Storia di O in lingua italiana...
non so decidermi. C'era per caso "Mumbai Theme Tune" di A.R. Rahman, in sottofondo, e veniva freddo a leggerti.
allora le gioco entrambe: storia vera? complimenti, per sentire le cose così profondamente e fino alla fine.
racconto fantastico? complimenti per il coinvolgimento regalatomi...
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