- Ore 23.00 -
Mi fermo e mi affretto, davanti alle vetrine con le luci spente, con le mani sui fianchi, vaglio risposte e trovo riflessi sfuggenti come l’ombra dei passanti dietro le spalle, tanto da farmi pensare che ancora non ho familiarizzato troppo con le nuove regole del gioco: all’improvviso il cambiamento mi è caduto addosso, pesantemente, ho sbattuto il culo per terra, e devo ancora capire cosa mi è successo.
È una di quelle notti puttane in cui ho fame, ho fame di carne. Ho fame di odore e di sale, a poca distanza da me. Ho fame di Te: un desiderio sleale, impossibile, e al momento troppo caro.
Comunque finisco la corsa e attraverso la strada, muovendo lentamente accanto al marciapiede mi avvicino alla meta. Rallento e mi costringo a sollevarmi sulle punte dei piedi per continuare la caccia, a ogni centimetro, a ogni passo, stringo e dilato lo sguardo, fra i rumori del traffico nascondo il gelo del battito.
La stazione, eccola.
Sullo sfondo i finestrini dei convogli scorrono, i viaggiatori aspettano e formano dei rumorosi capannelli lungo i binari. Sono testimoni della scena: comincio ad andare nella loro direzione, il mio treno sta arrivando, frena e stride fischiando sulle rotaie.
Lui è lì e scende.
Ora l’ho davanti a me ma lui ancora non può vedermi, senza farmi accorgere mi accosto passando dall’altra sponda del binario.
Lo osservo: è alto, indossa un completo scuro, ha gli occhi fissi sulla folla. Si ferma e poggia la sua borsa a terra, si fruga in tasca e dopo il viaggio finalmente accende la guadagnata sigaretta. Il tempo passa, la gente sfolla.
Dal binario tutto muove in fretta, si disperde la calca. Continuo a camminare senza perderlo di vista, il vociare intorno è uno stormire di lingue diverse, la vitalità che accompagna quei pensieri è svelta, violenta, non mi curo di nulla, negli occhi della gente è Te che cerco. Disperatamente.
Te, regista da lontano sulla scena, presenza che abbaglia la mia voglia.
Da brava esecutrice ammucchio la mia pelle tra quei gruppi inconsapevoli e, affamata, avanzo verso di lui: nient’altro che un’illusione astratta, il treno su cui salire questa volta.
Trovare Te negli altri, una mano, uno sguardo, un odore, mi attraversa i sensi. Un gesto che ghermisce e stringe, un rumore, una parola, una parvenza di sottile insinuazione, trovare Te in chiunque e in nessuno totalmente, trovare Te è il segreto per indurmi al viaggio nelle viscere. Al viaggio delle meraviglie: io sono Alice, Tu sei il Bianconiglio da seguire.
Lì, con la testa separata dal collo, un attimo ancora, desidero, ancora, poterti trovare fra i volti ignari della gente. Ma irreparabilmente scorre il mondo. Infilo le mani tra pelle e pelle sconosciuta, tremante o dura, e spingo dentro, respiro l’infuriare dell’altrui muoversi e venire, il congelare della mia anima impalata mentre si porta incontro a lui. Mi protraggo per raggiungerlo. In quel rito duro oltrepasso la soglia dell’assenza e inizio il tempo in cui il sapore e il suono della voce sono quelli di C..
Lui fa un cenno, sorride e mi guarda. Il rumore incredibilmente smette di assordare, s’alza il fumo, mi perdo, è quello che voglio, non una parola tra noi può dirsi dialogo: siamo qui, già abbiamo scelto.
Senza visibili corde si sospende il tempo, ignorando i miei limiti nel farlo si legano i miei occhi ai suoi. Avverto la sofferenza, appesantisce ogni mio gesto, ma deliberatamente lascio che mi trascini, oltre la notte, per riempirmi come vuole.
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