10 luglio 2005

FRAGILITA'




Il ritorno a casa dal lavoro è uno dei momenti in cui lei ritrova il suo rifugio, quello che la notte vive e la mattina la fa pigra e dolorosa nell’alzarsi.

Per il suo viaggio quotidiano sceglie sempre il pullman, Roma – Rieti, per avere il tempo da spendere in letture o con la penna sopra il foglio.

Quel pomeriggio la corriera era deserta per le scuole in festa di giugno e, nel silenzio frastornante del vento, lei intingeva i ricordi nel rossore che ancora la distingueva sui polsi. Il nastro adesivo l’aveva stretta a lungo e le aveva lasciato dei segni sottili ma evidenti, strie rosse come aperte smagliature, per una notte di posa dentro sangue contratto. Al risveglio, poi, qualche colpo di cutter ed era tornata debolmente libera.

Continuava a leggere le pagine scritte quella mattina stessa nel viaggio d’andata, le limava e le correggeva, e le riaffioravano alla mente sensazioni vivide come fossero appena accadute. Fra quelle righe si ritrovava legata, in profonda apnea, in una di quelle sessioni di bondage che le opprimevano decorativamente il respiro, e l’ostentavano sospesa come una farfalla al vuoto. Maggiore sentiva il controllo su di sé più era trasportata dalla mente nelle nebbie del nulla, e più vagava tra le nuvole come un angelo tetro più fluttuava alla deriva fra onde crescenti di voglia. Non erano parole, quelle, da destinare a tutti, erano estratti d’un Diario che da tempo scriveva, quelle erano pagine che non doveva pubblicare, di cui era costretta ogni volta a cancellare subito il file dopo che a Lui aveva inviato una copia.

Lì, lei, scendeva nel dettaglio delle ferite che le venivano inferte, riversava le viscere del piacere che la prendevano quando Lui la soggiogava nel dolore.

L’autobus intanto continuava le sue fermate abituali, pochi salivano, e ancora meno altri scendevano. Erano in tutto forse dieci quel giorno, lei sedeva accanto al finestrino a pochi passi dall’uscita centrale, e lui, di cui non sapeva dire se era appena salito o se fosse stato lì a registrarla sin dalla partenza, ad un certo punto le si sedette accanto nonostante il soprannumero libero dei posti.

Lei si fingeva indifferente, nemmeno un accenno interrogativo di sguardo e, continuando a leggere, con la coda dell’occhio ne seguiva precisa ogni movimento, ogni assestamento sul sedile, ogni incrocio di gambe, e ogni capolino d’occhi sopra i suoi fogli sparsi, sulle sue parole scritte al margine, sulle sue frasi ben sottolineate.

Aveva quell’aspetto trasandato che la metteva all’erta, le faceva drizzare le antenne del sospetto per come dissimulava un’eleganza fasulla, quell’uomo stonava più che se fosse stato nudo.

- Però, bello! – le disse scanzonato ad un certo punto – bello, l’hai scritto tu? – andava varcando il limite della sua vita intima.

- No! – che non poteva certo dire di sì. Un no era più facile per lei e più credibile per lui.

- Scusa, non volevo leggere, solo che eri così assorta e mi sono incuriosito –.

Lei non rispose, non aveva intenzione di conversare sui suoi fatti personali, aveva abbozzato un sorriso di scarsa sopportazione e mostrandosi scocciata si era lasciata riassorbire dalla lettura.

- Poi cosa succede? – faceva il finto tonto ed insisteva.

- In che senso? – lei non poté fare a meno di dirlo, che tacere temeva potesse assurdamente innervosirlo.

- Dopo, – azzardò – dopo che loro l’hanno legata e tirata su agganciandola ad una trave del soffitto? – era arrivato alla fine della pagina che lei teneva di fronte, e voleva conoscerne il seguito.

- Non lo so! – rispose stizzita, spudoratamente mentendo. Era a disagio per quel dialogo inopportuno, sarebbe voluta scendere alla prossima fermata. Era a disagio ma le si risvegliavano forti le sensazioni che in quel momento negava.

- Ti dispiace se leggo la pagina che segue, mentre tu termini questa? Sai per passare il tempo, con questo caldo il viaggio sembra interminabile. E poi mi piace com’è scritto, come va ad analizzare ogni cosa, è come dire molto cerebrale. Chi è l’autore? – e mentre parlava sorrideva, bonariamente.

- Non saprei! Me l’ha passato un’amica per farmi fare due risate. – in meno di mezzo secondo, tra tutte le cose che poteva dire, mentre gli passava l’ultimo foglio per evitare di dover aggiungere altro, aveva rinnegato se stessa, aveva deriso la sua stessa passione ed aveva permesso ad una persona qualunque di farla scivolare malamente a terra in quel mondo che amava. Questo le bruciava da morire. Si era stranita, e si sentiva in colpa.

Lui leggeva, ed ogni tanto emetteva strani suoni di commento, e lei non riusciva a capire se i suoi erano mormorii di sorpresa, di compiacimento o di fastidio. Era però certa che leggesse con partecipazione.

Lei, per suo canto, ormai non riusciva a concentrarsi, immaginava le sue parole farsi trama di vissuto nella testa di quello sconosciuto e costruirgli scena dopo scena la sua notte passata, lo credeva a soffermarsi sui passaggi espliciti di sesso per coglierne le dolorose sfumature e tornare indietro interessato, lì, dove il gioco si faceva più cruento, più intenso, e di cui ancora portava evidenti le tracce sulla pelle. Lo immaginava, e si sentiva i suoi occhi grigi addosso, intenti nel cercare una qualsiasi presenza di quei segni che testimoniassero il vero, come i suoi polsi rimostranti i tagli del nastro adesivo: il sudore, le lacrime, lo sperma, nel corso delle ore notturne l’avevano bagnato, assottigliandolo e facendolo affilato come un filo di nylon.

Lei era orgogliosa di quei tagli, erano un regalo che Lui le lasciava e che lei rimirava con conforto durante le sue lunghe ore d’assenza, erano la prova che lei gli appartenesse, che fosse completamente Sua, e non c’era altro più di questo che lei desiderasse.

- Caspita, che storia! Emozioni intense! Ti piacciono questo tipo di letture? – aveva osato chiederglielo, ma d’altronde a quel punto anche lei l’avrebbe fatto.

Per un attimo infinito restò a fissarlo, come a vagliare le possibilità tra i tempi di risposta, aveva lo sguardo curioso e pareva innocuo: - Sì! – affermò con convinzione – moltissimo! – doveva riscattare quello in cui credeva o ne avrebbe sofferto. E nel rispondere intanto faceva per alzarsi, raccogliendo i suoi fogli, e svelando quei segni sui polsi con un gesto casuale ma decisamente voluto, così che lui potesse notarli e poi restare a guardarla, muto per un istante, per poi lasciarla passare affinché fosse libera di scendere alla fermata richiesta.

- Ciao! – lo salutò, e stavolta lei sorrideva davvero.

(A me stessa)