18 gennaio 2006

FURIA



Questa notte mi tiene rinchiusa, qualche passo da una finestra attraverso cui riesco appena a vedere. Non c’è nessuno con me, nessuno mai che mi chiami per nome. Solo la neve che cade là fuori, mi dice del tempo che passa.
Oggi è un giorno speciale, in questa casa ci sono amici che non vedo da mesi. Stanotte è un’occasione per ritrovare sensazioni che ho perso. Ci sono voci di là, oltre la porta, mentre io qui sono rimasta chiusa nel buio. Sento Elisa che parla e Diego che ride, sono loro che mi riempiono e mi svuotano il tempo di cui non riesco a vedere la fine. Lo sento che brindano e giocano, discutono e cercano il fiore, la pelle che gli farà ricordare questi giorni lontani da casa. Lo so che fuori c’è festa, lo capisco dalle risate che giungono oltre le mura. Da qualche parte qui si ride e si scherza, mentre per me c’è soltanto una gabbia.

Eppure, a pensarci, non riesco a immaginarmi in un posto diverso, se non chiusa qui dentro, con le mani legate e un bavaglio di cuoio. Sento la cinghia attraversarmi la bocca, spaccarmi le labbra sui lati, aprirmi e farmi sbavare come una cagna per terra. Lo so che da qualche parte c’è musica, ci sei te in perfetta eleganza, con le dita tra un whisky e una figa, come se questa serata fosse un sigaro buono da preparare per tempo, prima che stravolga la notte. Lo so, mentre giro e rigiro ferina in me stessa, isolata e ancora fin troppo cosciente, chiusa dentro una gabbia.

Lo so, perché ogni tanto sento saltare dei tappi, sento le grida della festa che incombe, sento bottiglie che si stappano a fiotti e immagino fiumi di liquidi rossi o di bionde cascate che si mischiano e danzano lieti, da un calice all’altro, da una bocca che porge a una che prende, con avidità.
La sensazione, ogni tanto, è che lo spazio si comprima e si faccia più stretto. A volte, senza che nemmeno mi accorga, serro di schiena le mani legate alle sbarre, le scuoto e mi lamento con rabbia come se fossi una furia, come se un raptus improvviso mi avesse preso con forza. E’ una reazione istintiva. E’ la cattività che mi tiene repressa. E’ la mia voglia che sale ma rimane costretta.
Io non ho modo di uscire, né posso farmi sentire, e non è che poi voglia davvero, semmai è che fremo il momento di cui resto in attesa. Io sono il premio di uno spettacolo nuovo. Io sono la bimba da domare animale. Io sono, senza riserve, la belva da chiudere in gabbia.

E mi piace, sentire il metallo che duro mi abbraccia e mi tocca, anche se tremo perché in fondo fa freddo. E non è che sia stata obbligata, sono io che ho scelto, anche stavolta di dimostrarmi all’altezza. Anche se qui non è che sia come è per tutti, qui dentro non c’è nulla che serva davvero, solo il bisogno primario arriva di corsa e preme d’urgenza come fosse bufera. Sento la sete a momenti, la sento asciugarmi con ansia le viscere. D’altronde è più di una notte, che risucchio dell’acqua come fossi un’infante, goccia a goccia, sempre dalla stessa cannuccia.
E’ più di una notte e chissà quante altre saranno, che ho scelto un punto preciso, a un passo da me, in cui tenere un catino e svuotare i bisogni. Perché io sono carne da immolare a vergogna. Io stanotte non sono nessuno, io solo esisto perché c’è questa gabbia.

Ogni tanto viene qualcuno senza farsi vedere, mi benda per farmi restare nel buio, ripulisce e poi mi abbandona di nuovo, senza sfiorarmi nemmeno. Dio che rabbia, alla quarta volta ho sentito la furia gonfiarmi le vene, e come una pazza ho puntato la testa lì dove credevo muovesse qualcosa, ho provato a sbattergli contro. Come una pazza. Ho sentito il silenzio rimbombare dietro le tempie, mentre i brindisi altrove mi sembravano nulli, muti come se il vetro fosse solo squallida plastica.
Ogni tanto succede, qualcuno viene senza nemmeno darsi una voce, mi benda e veloce mi lava la bocca, mi avvicina la cannuccia alle labbra o solo un cucchiaio con un po’ di minestra. Dio che rabbia, questa pace che si appiccica addosso, questa posa che mi lega fissa le braccia e io, che non posso nemmeno grattarmi la testa.
Mi tengono qui per aizzarmi alla lotta, io adesso non sono nient’altro che una scimmia abbrutita, io sono sola e chiusa dentro una gabbia.

E intanto lo sento che in casa c’è festa. La sento Sonia che geme insieme a una voce straniera, sento Alex che impreca col fiato spezzato, sento che implora di andare più affondo, di fottergli il culo con la lingua davvero, con un dito piuttosto, o con un pezzo di carne almeno che riempia.
Lo sento al di là delle pareti e del buio, dei giorni serrati dietro porte e finestre, in questa mia notte che pare infinita. Lo sento che da giorni si banchetta e si gode, al di là delle sbarre c'è caviale e salmone, c'è il piacere e il dolore. Ma io non ho voglia di uscire, non voglio lasciare il ruolo che ho scelto. Mi sento forte qui dentro, sfinita insieme al mio orgoglio che soffia di rabbia a ogni respiro che faccio.
Perché se volessi potrei dire basta anche adesso. Se volessi, avrei raggiunto già gli altri in salotto, avrei indossato qualcosa di adatto e ti avrei cercato fra tutti nel mucchio. Ma io stasera per te sono diversa. Io sono il premio di uno spettacolo solo a cui tu, quando vorrai, darai inizio.
Io stasera sono solo una bimba selvaggia, che per liberarsi del tutto vuole restarsene in gabbia.




(A Michael)

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Non è acuta, troppo acuta sofferenza?
Comunque oggi mi hai fatto venire in mente una canzone "Gloomy Sunday" non so se hai mai visto Schindler's List comunque è la canzone iniziale quando Schindler si prepara per la festa. Mi ha fatto venire in mente te non so perchè..

6:37 PM  
Blogger SchiavaD'Amore said...

Non direi proprio troppo acuta.
Non lo è stata.
Semmai un modo convincente per creare il vuoto intorno e ripensarsi. Ritrovarsi. Sentirmi sola, quasi sfribrata al limite di me stessa, per riconfermarmi una volta e una volta ancòra.

Grazie Fede.

6:56 PM  

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